Regia di Thierry Fremaux vedi scheda film
Imperdibile testimonianza di un'opera eccelsa, quella dei fratelli Lumière
Lumière – L’avventura del cinema (2024): locandina
Centotrent’anni fa i fratelli Lumière inventarono il cinema.
Non sappiamo se fu per dimostrare al severo padre che aveva detto “Il cinematografo non ha un futuro”, ma il futuro uno può anche inventarlo, certo non hanno mai smesso di farlo.
Otto anni dopo l’uscita di Lumière . L'avventura inizia (2017), grazie al restauro di oltre 120 punti luce inediti chiamati “vedute” di 50 secondi l’una, Thierry Frémaux ci offre ancora lo spettacolo del mondo registrato, costruito, inventato dai due fratelli.
Un viaggio alle origini del cinema, e tutto è già lì, la regia, il posizionamento della mdp, l’inquadratura, il dramma e la commedia, la recitazione e tutto il repertorio del “fare cinema” che ha aperto la strada al secolo successivo.
E’ il secondo omaggio in forma di documentario all’immagine dei due fratelli nati a Besançon e residenti a Lione, un viaggio abbagliante, straordinario, diviso in sezioni, ognuna con il suo titolo a seconda del contenuto dei filmini.
Chi ha visto il primo documentario sa già cosa lo aspetta, eppure la meraviglia continua, i confini si allargano a dismisura nel vedere l’immensa mole del materiale girato e la straordinaria qualità che ne fa purissimo cinema.
Duemila vedute di cui conosciamo solo la decima parte, e che saranno tutte visibili nei prossimi mesi, prima a Parigi e poi, speriamo, ovunque, fanno parlare dei fratelli Lumière come autentici artisti che hanno fatto della loro opera qualcosa che segna un traguardo oltre il quale si è mosso tutto il cinema venuto dopo.
Il testo di Frémaux, letto in traduzione da Mastandrea, ci accompagna in una scoperta che coglie in profondità lo spirito dei due pionieri, finora un po’f rettolosamente liquidati “inventori del cinema”, relegando il loro ruolo quasi solo a ingegneri, tecnici, esperti di macchinari.
E invece si tratta di arte, di grande cinema che nasce da un’idea e diventa linguaggio affidato all’immagine.
Silent movie, come dissero in America, non cinema muto, anzi, più che mai quelle riprese parlano ed è la lingua del Cinema. Una nuova grammatica, quella che nasce dove prima c’era il nulla, perché è solo dal nulla che nasce una nuova lingua.
La musica di Gabriel Fauré, compositore contemporaneo dei Lumière, commenta questo affascinante viaggio in cui ammiriamo la bellezza naturalistica delle riprese che spesso fanno pensare agli Impressionisti, in altri momenti lo scoppiettante dinamismo del cabaret che prepara le future gag di Chaplin, e poi eserciti in marcia, sfilate di cavallerizzi, cerimonie sontuose di nobili e potenti, salite lungo pendii innevati, tuffi in acque gelide, interni giapponesi alla Ozu, scontri all’arma bianca o con micidiali katana da cui Kurosawa e Kitano hanno imparato molto.
La Sortie de l'usine Lumière a Lione e L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat furono i capostipiti, dopo, per anni, treni ne arrivarono molti e masse di operai continuarono ad uscire in uno spettacolo del mondo che non si finirebbe mai di raccontare.
I Lumière hanno guardato tutto con un cine-occhio mirabolante, da terra e sull’acqua, a bordo di transatlantici o scialuppe, non c’è angolo che sia sfuggito.
E questo grandioso caleidoscopio di immagini del globo terraqueo i Lumière ci hanno insegnato a guardarlo, inventando il miracolo-Cinema, che è costruire la realtà con un pensiero, plasmare le immagini del mondo che, rimanendo reali, sono filtrate dall’occhio che pensa.
I Lumière inventarono le macchine del cinema e ci dissero di usarle come gli strumenti da cui nasce la musica.
Un instancabile team di operatori fu messa al lavoro, l’occhio sempre rivolto all’autenticità, alla realtà fu il loro stile inconfondibile, piazze e ponti, viuzze a avenue diventarono i set con attori anonimi, abitanti urbani, frotte di ragazzini spensierati che, tempo dieci anni, sarebbero diventati carne da macello, mamme e nursey con carrozzelle, eleganti signori con sigaro e cilindro, e poi tante carrozze a uno, due, più cavalli, tranvai, i primi, aperti con tendine, il rutilante turbinìo della città cui fa da sponda la serenità agreste di mietitori messi in fila col rastrello, comparse ante litteram del futuro Bertolucci di Novecento.
Qualcuno guarda in macchina, un ragazzino sorride divertito, un anziano si chiede cosa sarà mai quel treppiede su cui c’è un aggeggio con manovella girata a mano, il mondo alacre, sereno e paziente di quegli ultimi anni di pace sfila per noi centotrenta anni dopo.
Il cinema dei Lumière è il testimone più prezioso di un tempo perduto, quando avremo visto tutte le duemila vedute pazientemente restaurate dalla Cineteca di Bologna, benemerita istituzione ancora capace di sopravvivere in questa nazione, allora avremo la nostra Récherche du temp perdu, un “come eravamo” su cui meditare.
“Il Cinema è uno strumento di calma e di pace”, sono le ultime parole di Frémaux.
Come dargli torto?
www.paoladigiuseppe.it
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