Regia di Siew Hua Yeo vedi scheda film
Una bambina scompare in un parco pubblico. I suoi genitori cominciano a ricevere dei dvd che li riprendono in contesti diversi. Il principale indiziato è un addetto ai banchi di un supermercato. Nel frattempo, il padre della bambina si getta in imprese erotiche, mentre la madre, una disc-jockey, è sempre più ossessionata dal desiderio di piacere e di essere osservata.
"Un film sul guardare", dicono i soloni della settima arte. Peccato che qui allo spettatore vengano inflitte due ore di nulla cosmico, con riprese che sembrano dei fermo immagine e con l'ennesima, pedante, celebrazione del Panopticon globale in cui siamo immersi. Il regista, con la grazia di un funzionario di dogana in vena di metafore, dissemina ovunque telecamere, vetri riflettenti, schermi, finestre su finestre, come se bastasse moltiplicare i punti di vista per generare profondità. Ma l'effetto, più che perturbante, è soporifero: una teoria di occhi elettronici che sorvegliano tutto e non vedono niente. Il presunto thriller psicologico si aggroviglia presto in un delirio onirico che vorrebbe richiamare Haneke (Niente da nascondere) ma finisce per evocare il peggiore degli esercizi di stile da scuola di cinema: un labirinto di rimandi visivi, con la pretesa di porre la fatidica domanda "chi guarda chi?", mentre allo spettatore non resta che chiedersi "quando finisce?". Eppure, in filigrana, si intravede un'idea potenzialmente interessante: la specularità tra osservatore e osservato, l'ansia di una società che vive per riflettersi nello sguardo altrui. Ma la materia resta grezza, senza ritmo né tensione. Così, invece di un cortocircuito noir, abbiamo un cortocircuito narrativo; invece del mistero, una sequenza di lentezze programmatiche; e invece della riflessione sull'immagine, il tedio dell'immobilità. Sulla recitazione, infine, va steso il più pietoso dei veli: tanto sorvegliata da risultare inespressiva, come se anche gli attori temessero d'essere ripresi da una telecamera nascosta.
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