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Il ragazzo dai pantaloni rosa

Regia di Margherita Ferri vedi scheda film

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La recensione su Il ragazzo dai pantaloni rosa

di ilcausticocinefilo
3 stelle

 

 

Un film ricattatorio, nel peggior modo. Questo ciò che s’arriva a pensare entro un minuto dall’inizio della proiezione. Ma come si fa, dico, come si fa anche solo a pensare un’oscenità come quella di proporre la voce fuori campo di un ragazzo realmente esistito, morto, che narra dopo la sua triste dipartita? Un poco di vergogna? Il gusto, ce lo siamo dimenticati a casa?

 

Senza contare le cose che gli fanno dire (del genere: mi rallegro dall’aldilà perché il mio persecutore adesso, testuale, «è ingrassato venti chili ed è solo come un cane»… ah, quindi bullismo, omofobia male, malissimo, invece prendere come misura del “fallimento” totale di una persona l’aumento di peso va benissimo? Un fulgido esempio di coerenza morale, non v’è dubbio).

 

 

Samuele Carrino, Claudia Pandolfi

Il ragazzo dai pantaloni rosa (2024): Samuele Carrino, Claudia Pandolfi

 

 

E non è neppure l’unica caduta di tono di quello che non si devono aver esitazioni a definire filmaccio. Sì, perché l’altro ricatto – quello della storia vera alla base – è ancor più infame, in quanto lascia restii a criticare persino le più egregie schifezze propinate.

 

Tuttavia, il sottoscritto, fedele al soprannome che s’è scelto, pur all’inizio tentennante, proprio non ce l’ha fatta, a promuovere un’opera così smaccatamente brutta soltanto perché veicolerebbe “messaggi importanti”. Ma li veicola poi davvero? Siamo sicuri?

Andrà pure a sensibilità personale, certo, nondimeno la qualità della tecnica o c’è o non c’è, poi soggettivamente si può anche affermare di aver comunque gradito un film, però, insomma… E se manca quella qualità, se cioè un film ha già mostrato la corda ben prima dell’emergere della tematica clou, si può ragionevolmente dubitare della sua efficacia pedagogica (al di là del fatto che di solito ben difficilmente un film a tesi, specie se così predicatorio, funziona).

 

 

Andrea Arru

Il ragazzo dai pantaloni rosa (2024): Andrea Arru

 

 

Questo Il ragazzo dai pantaloni rosa è di mediocrissima realizzazione, a partire da una sceneggiatura da una parte – come ricordato in apertura – ricattatoria e priva di tatto, dall’altra avulsa da qualunque verosimiglianza (i dialoghi, mon dieu, i dialoghi: ma chi cacchio è che parla così nella realtà di tutti i giorni? Non ci si avvicina neppure ad un chilometro).

Siamo in presenza della fiera del didascalismo: i dialoghi devono essere “esemplari”, veicolare, appunto, veicolare, ribadire, sottolineare, predicare il verbo, col risultato che i personaggi paiono ridotti ad automi atti ad esplicitare il significato ad ogni pie’ sospinto. E le interazioni tra i giovini sono specialmente poco credibili (e alcune scene dimostrano nuovamente la mancanza di gusto di un film che vorrebbe invece essere così "attento": del tipo, come diavolo fanno a sapere - se davvero la vittima non ha lasciato alcuna testimonianza diretta - come sono andate certe faccende col bullo, vedi la scena negli spogliatoi dove il protagonista arriva addirittura a confessargli di aver bagnato il letto?).

 

Tra l’altro, nonostante l’asfissiante didascalismo della peor specie, l’arco centrale – cioè l’evoluzione della situazione sino alla tragica decisione – è gestito da cani, tanto che il finale appare improvviso, inserito ex-abrupto senza sufficiente preparazione. Mentre alcune svolte chiave sono risolte in assenza totale di pathos (e ciò comprende anche quella al “ballo della scuola” [che poi, sviando, s’è mai sentito di una simile americanata in Italia, che sia andato a scuola in un altro Paese senza accorgermene? Per non parlare degli ambienti scolastici scintillanti con tanto di impianti sportivi, spogliatoi con docce ecc.]).

 

Altresì imbarazzanti oltre ogni dire i penosi tentativi, azzardo, di “internazionalizzazione”, con la gente che si chiama con nomi inglesizzati o si mette addirittura a cantare “happy birthday to you” che il vecchio “tanti auguri a te” ci faceva venire la diarrea.

 

 

Claudia Pandolfi, Samuele Carrino

Il ragazzo dai pantaloni rosa (2024): Claudia Pandolfi, Samuele Carrino

 

 

La qualità miserrima della scrittura non è peraltro risollevata da una recitazione non esattamente di primissimo livello. Il protagonista se la cavicchia, ma la gran parte del parterre è insostenibile, dal bulletto per finire, spiace dirlo, sulla madre interpretata da una Pandolfi sovente impassibile e come spiritata. Va bene, garantiamo loro l’attenuante dei soprammenzionati dialoghi da denuncia, però ci mettono anche del proprio.

 

La discutibile resa dei personaggi, a causa della sceneggiatura, produce inoltre un effetto paradossale, ovverosia di far diventare il film sin quasi offensivo per i protagonisti che sono o sono stati persone effettivamente esistenti.

Ciò si palesa forse più che mai nel caso della madre che scompare di continuo dal flusso della narrazione, per ricomparire giusto per regalare al figlio i pantaloni oppure per soffocarlo con attenzioni alle quali tuttavia non corrisponde alcun minimo sentore del fatto che ci sia qualcosa che non va (ad esempio, lo vede con un occhio nero, sembra lì per lì sconvolta, vuole fin contattare la scuola, scoprire cosa diamine stia succedendo, ma poi nel film non se ne fa più menzione [va beh che questa scena rientra in quella parte conclusiva ch’è tutta tirata via e velocizzata senza alcuna logica…]).

 

Le cose nella realtà saranno andate diversamente, eppure così com’è presentato Il ragazzo dai pantaloni rosa par indirettamente colpevolizzare la madre e il padre, quasi del tutto assenti o inconsapevoli.

 

 

Claudia Pandolfi, Samuele Carrino, Corrado Fortuna

Il ragazzo dai pantaloni rosa (2024): Claudia Pandolfi, Samuele Carrino, Corrado Fortuna

 

 

Meglio non accanirsi, poi, sulla tremenda fotografia patinata che appiattisce tutto, che in confronto le smarmellate del grande Duccio Patanè son opere d’arte. E l’agghiacciante colonna sonora – evitiamo il termine “musica” per pudore – dà la mazzata definitiva (specialmente abominevole lo scoppio trafora-tipani di “suoni” al momento dell’ultimo abbraccio sul finale).

 

In sostanza, cinema di tal fatta (ma forse si esagera proprio nel definirlo cinema) mancherà sicuramente anche il suo presunto fine educativo, perché sa troppo di pubblicità progresso mal riuscita, è troppo platealmente didattico, con pallide aggiunte pseudo-giovanilistiche da sturbo.

 

 

Samuele Carrino

Il ragazzo dai pantaloni rosa (2024): Samuele Carrino

 

 

Il che fa sorgere il forte sospetto che ai giovani costretti a vederlo, specie a scuola, di media non solo non cambierà di una virgola la visione del mondo (ammesso, e non concesso, che il cinema, finanche quello vero, possa farlo in generale) ma soprattutto apparirà primariamente proprio come quel che si è appena detto, una costrizione.

 

Se n’è parlato a sufficienza: Il ragazzo dai pantaloni rosa è robetta da niente, forse persino controproducente (vedi le questioni del paradossale carattere offensivo per com’è condotta la storia e del puzzo consistente di predicozzo), troppo o patetico o pedante. La storia reale avrebbe meritato ben di meglio.

 

 

 

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