Regia di Hu Guan vedi scheda film
In uno scenario distopico, nel quale lo spazio urbano è in procinto di essere sventrato e ricostruito in vista dei giochi olimpici (siamo nel 2008), i cani non registrati all’anagrafe locale vivono come randagi. Tra questi, un levriero nero (sul quale pende una taglia) che diventa, dopo numerose traversie, l’amico inseparabile di Lang (Peng). L’uomo, appena uscito dal carcere e con un passato da rockstar e motociclista acrobatico, vaga come un sonnambulo in una città ormai svuotata, in cerca di una nuova collocazione esistenziale.
Dopo la cafonata muscolare di 800 eroi, arriva anche questo oggetto misterioso, vincitore nella sezione Un Certain Regard a Cannes, capace di alternare visioni impressionanti e apocalittiche a scene apparentemente disarticolate, come in un western minimalista in salsa post-socialista. Lo confermano la recitazione antinaturalista, costantemente sul crinale del grottesco, l’eccesso di simbolismi (e davvero: che ci fa lì un’eclissi di sole?) e la struttura narrativa che si muove tra l’ellittico e il rapsodico. Il risultato è straniante, a tratti persino surreale. La musica dei Pink Floyd compare come un’apparizione anacronistica – ma forse è il modo più diretto per evocare un mondo che crolla sotto il peso del suo stesso progresso. In questo deserto sociale, l’amicizia fra uomo e cane diventa una parabola malinconica di redenzione, in cui l’animale finisce per assumere tratti quasi mitologici: un salvatore silenzioso, più credibile di ogni proclama istituzionale.
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