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Requiem for a Dream

Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film

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Dany9007

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Requiem for a Dream

di Dany9007
6 stelle

Il tema della tossicodipendenza ha acquisito una connotazione sempre più drammatica nell’evoluzione del cinema. Basti pensare che fino a Giorni perduti (1945) la rappresentazione dell’ “alcolizzato” aveva una connotazione sostanzialmente comica. Tralasciando il genere gangster, che indirettamente parlava di traffici illeciti di sostanze stupefacenti, poi vennero film come L’uomo dal braccio d’oro, I giorni del vino e delle rose vi furono le parentesi legate alla contestazione post ’68 con Easy Rider e molti altri che posero l’attenzione sugli effetti di queste sostanze sui singoli individui approdando fino agli anni ’80 con il bruttino Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino tratto dal celebre libro autobiografico. Negli anni ’90 ecco che irrompe un film come Trainspotting, sarcastico, cinico e con caratterizzazioni che non si dimenticano, anche per la capacità di indugiare su temi sgradevoli ma sempre con brio. Requiem for a dream sembra approcciarsi con alcune tecniche che in parte ricordano la spirale  di degrado che vivono i protagonisti britannici di Trainspotting. Sicuramente manca il fascino e il senso di freddezza del contesto nord europeo che viene sostituito da un’ambientazione più americaneggiante con tanto di elementi quasi da gangster (con tanto di sparatorie), così come i protagonisti, nonostante la bellezza di Jennifer Connelly e di Jared Leto non riescono ad essere davvero affascinanti. Più amaramente riuscito il personaggio di Ellen Burstyn nel ruolo di Sara, madre casalinga, ingenua e completamente assorbita dagli show televisivi che segue a rotazione, risulta il personaggio più disarmato della storia e danneggiato e privo di responsabilità nella sua discesa agli inferi (è un medico che le fa somministrare delle anfetamine per dimagrire) che la porta a tramutarsi in una drogata, proprio come il figlio che tanto temeva inizialmente, e infine ad una condizione di devastazione mentale dovuta alle terapie a cui è sottoposta in ospedale. In certi passaggi si nota una certa volontà del regista nello stuzzicare lo spettatore, mostrando o facendo intuire, alcuni degli aspetti più sordidi a cui vengono sottoposti i protagonisti: Marion (Jennifer Connelly) è costretta ad utilizzare il suo corpo per procurarsi l’eroina, la vediamo quindi doversi cimentare in un rapporto orale con un pappone e poi, in una sequenza in cui si alterna un frenetico montaggio analogico, la vediamo obbligata a penetrarsi con un fallo artificiale in un esagitato show lesbico, tra l’incitamento di uomini d’affari che lanciano soldi; il regista indugia anche sul decadimento fisico di Sara, ridotta praticamente ad uno spettro nelle scene finali, nonchè sul braccio in cancrena di Harry (Jared Leto). Insomma l’epilogo (anticipato dai capitoli in cui è divisa la sequenza) è senz’altro tragico per tutti i protagonisti, destinati all’autodistruzione ed alla solitudine. I piccoli grandi sogni di ciascuno vengono quindi spazzati via. Sicuramente l’effetto “pugno nello stomaco” è raggiunto, risulta però difficile  un film che riesce a sviluppare una lettura significativamente innovativa o personale relativamente all’incubo della tossicodipendenza.

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