Regia di Franco Maresco vedi scheda film
Che fine ha fatto Franco Maresco?
Il regista di Cinico TV e Belluscone – Una storia siciliana sembra svanito nel nulla. Impegnato nelle riprese di un lavoro sull’Attore Artifex autodefinitosi “macchina attoriale”, a un certo punto sparisce dalle scene. L’amico Umberto Cantone, novello Jerry Thompson (il giornalista interpretato da William Alland in Citizen Kane), si preoccupa di rintracciarlo nei luoghi da lui frequentati (per esempio la stanza di un albergo) e chiedendo notizie ai suoi abituali collaboratori (tra cui un autista in continua preghiera). Si viene così a scoprire che l’acuirsi delle sue ossessioni, fobie e paranoie ha accentuato il disturbo ossessivo-compulsivo per cui è noto a un livello tale da fargli balenare nella mente l’idea di girare un film su San Giuseppe da Copertino, che chiamava sé stesso Fratel Asino, patrono degli studenti – già soggetto di Cronache di un convento (The Reclutant Saint, 1962) del regista Edward Dmytryk e citato anche in Nostra Signora dei Turchi (1968) di Carmelo Bene.
Alla ricerca dell’altra metà della coppia formata con Daniele Ciprì per 21 anni, viene passata in rassegna l’intera vicenda artistica dell’uomo Franco, dagli esordi fino a La mafia non è più quella di una volta (2019). Ne emerge il ritratto di un essere umano tormentato, disilluso, nichilista e amaro come Cioran e Ambrose Bierce, che ha riversato l’incontenibile furore iconoclasta in opere come Totò che visse due volte (1998) e persino sulle persone con le quali ha lavorato, alla stregua di Hitchcock che considerava gli attori “bestiame”.
Nelle eterogenee immagini che si susseguono durante la visione ritroviamo tracce eclatanti del suo smisurato amore per il cinema: Buñuel (Simón del desierto), Dreyer, Bresson, John Ford. In particolare, nei filmati che mostrano le estenuanti prove con il cast, si assiste a forme di vera e propria esilarante tortura cine-estetica (tipo Cura Ludovico in Arancia meccanica, 1971): sintomatico ad esempio il momento in cui sottopone al depensamento il critico Francesco Puma, clerico vagante tra Alvaro Vitali e Stanley Kowalski (Un tram che si chiama Desiderio, 1951).
Grottesco fino al sublime – Francesco, giullare di Dio (1950) flirta con Effetto notte (1973) – e consapevolmente autolesionista, usando Carmelo Bene come provocatore acustico e metacinematografico, Maresco dirige il suo film-testamento (dedicato a Goffredo Fofi, recentemente scomparso), che è anche uno spietato atto d’accusa in primis verso sé stesso, gli altri, la società, i suoi tempi e l’osceno e ripugnante mondo, eseguito con iunctura acris e una veemenza degna di Paolo di Tarso dopo la conversione sulla via di Damasco (menzione speciale per l’invettiva contro il cinema odierno su una sfilata di tombe al Cimitero di Santa Maria ai Rotoli di Palermo).
La misantropia degna di Timone l’Ateniese e il conclamato pessimismo esistenziale che lo caratterizzano, sprofondando in auto-deprecazione, alla fine però trovano un’inaspettata soluzione mistica, feroce e parodica palinodia con cui chiudere i conti coi fantasmi del passato e tirare le somme di una vita, frutto dell’inconveniente di essere nati.
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