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Diva Futura

Regia di Giulia Louise Steigerwalt vedi scheda film

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La recensione su Diva Futura

di lamettrie
8 stelle

Per essere un dramma a sfondo pornografico, è serio e profondo.

La leggerezza, la vitalità, la felicità (parziale, ma reale) dei protagonisti di quel mondo vengono ben mostrati dalla Steigerwalt, che ne lascia trasparire con uguale chiarezza anche i limiti:

1-     superficialità (vivono solo per l’immediato, senza pensare alle conseguenze sulla lunga distanza di ciò che fanno);

2-     irresponsabilità (per la quale si pentono poi di loro gravi errori); egocentrismo infantile, col codazzo di arroganza e opportunismo, nel cercare sempre qualcuno di buono su cui far ricadere i propri errori;

3-     vera e propria criminalità (nel disprezzo delle regole, viste come limiti a sé stessi da evitare, se possibile).

Questo film è dunque una piccola, riuscita, lezione di vita: su quali valori attribuire alla propria esistenza. È un monito a lasciare al centro il nostro bisogno di gratificazione, anche quello più semplice, che è veicolato in gran parte dall’attività sessuale.

Senza giudizi - né men che meno pregiudizi, di stampo moralistico - questa storia vera (biografia dell’inventore del porno italiano, Schicchi) ci richiama, nel suo modo parossistico, alla necessità di scegliere una vita all’altezza dei propri bisogni più profondi.

Mostrando anche, come detto, i limiti possibili insiti in approcci acritici. Ma mostrando anche i mali della rimozione dei propri aspetti pulsionali: per quanto socialmente rispettabile (bella la scena della scandalizzata madre della segretaria, come del politico “disgustato” di fare un’intervista assieme a una pornodiva; la quale altrove dice di avere amanti di tutti i tipi fra la classe dirigente, politici e grandi imprenditori compresi), il sacrificio di quell’aspetto centrale della vita si paga: nei termini di tristezza, e anche di odio verso la vita, o almeno certe sue manifestazioni.

Da Freud a Nietzsche: le scelte di Schicchi sono segnate dalla coerenza nel non vergognarsi di dare valore a ciò che piace, in tutte le sue forme, anche le più originali e apparentemente assurde. Con il coraggio di pagarne le conseguenze, rispetto a un mondo italiano ancora bigotto, come quello novecentesco. Un’Italia dominata ancora dalla Chiesa (come è cambiato ciò da allora, negli ultimi 30 anni, in riferimento al costume e alla mentalità!). Il che non impedisce però al sacerdote di prendere tanti soldi per officiare i funerali di un re del porno, cui inizialmente - per motivi di decoro - si era detto di no.

Questa forma di ipocrisia fa il paio con quella che le pornoattrici registrano nella vita comune. Dove subiscono più abusi che non nel mondo del porno – che per loro è il mondo del lavoro – dove non ne subiscono. Forse perché lì è già scaricato quanto deve esserlo, a differenza del mondo comune, quello dell’apparenza bigotta: qui le automutilazioni mentali portano a cercare degli sfoghi alternativi, non virtuosi, che devono restare occultati, ma non possono rimanere inevasi a lungo – pena una pesante sofferenza interiore.

La dolcezza di tanti di questi personaggi colpisce. Così come il crescendo finale verso la morte: sia di Moana che del protagonista. Una vita vissuta nella leggerezza, senza inutili e malati eccessi di senso del peccato, porta ad affrontare con tristezza - ma anche con accettazione - questo ultimo atto: nella consapevolezza che lo si può viver bene solo si ci si è sforzati, in precedenza, di vivere bene. Senza rimpianti – con tono tra l’epicureo e l’illuministico; e comunque naturalista (o materialista, il che è lo stesso, seppur sia un po’ più crudo). E ciò è impossibile senza la priorità assegnata all’amore – senza dimenticare che, come qui si vede, non tutte le interpretazioni dell’amore sono foriere di felicità profonda.

Buona la regia e il cast, di parti assai difficili, per via della posizione sociale estremamente provocatoria. Ottima la fotografia di Radovic, i costumi e in generale la presentazione della società italiana - e dunque anche dei suoi mass media - tra gli anni ’80 e ’90.

Ardita la ricostruzione continuamente oscillante fra flashback e flashforward: ma si può dire efficace e riuscita.  

Parafrasando una dichiarazione qui riportata di Moana: «Non si può mai essere completamente liberi. Per esserlo, non si dovrebbe amare. Ma, nei fatti, ciò è impossibile».

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