Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Alla fine un pò meglio dell'inevitabile paragone al pazzescamente sgangherato, dilettantesco, orripilante al livello dell'ultimo Argento, "Il Signor Diavolo". Ma debole e inerte nella sceneggiatura e in un ritmo verboso e in uno stile narrativo antico tra lo sceneggiato d'epoca e certi lavori passati in America di Avati, prodotti o diretti, che vorrebbe rievocare i classici degli anni '40 gialli americani per il B/N più professionale ma di altissima moderna definizione, e la parte in provincia a Davenport, con il gotico padano in quella italiana nelle paludi e nebbie di Comacchio del 1946 appena finita la guerra. "La Casa dalle finestre che ridono" perciò autocitato alla inquadratura precisa, e stessa ambientazione, verso il finale. Alcuni momenti sono innegabilmente melensi e ridicoli. Protagonista, un giovane lanciato che non conosco, debole anche come tono nel parlato. Un film in tutto e per tutto senile. Dubbiosi e che lasciano interdetti, I momenti "fulcro" onirico con le vulve pelose fatte da Sergio Stivaletti, ritagliate con un affilato coltellino e poste in vasi di vetro e formalina, rimando risaputo in cerca di notorietà, al mdf. ** e dato generosamente, un punto in più del precedente citato.
Molto imbruttita la invecchiata Caselli attrice. Brutte le voci degli attori più giovani se non per quelle di Bonetti/Pres. Te della Corte di Assise, più professionali, Roberto De Francesco/Emilio Zagotto, Claudio Botosso dei vecchi tempi avatiani, Romano Reggiani/pubblico ministero.
Armando De Ceccon/Glauco Zanotto davvero molto sopra le righe nel suo ruolo di designato folle "cattivo" e invece vittima sacrificale.
Irriconoscibile Andrea Roncato maresciallo dei carabinieri.
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