Regia di Bob Rafelson vedi scheda film
Complementare a "Cinque pezzi facili" e tale potrebbe essere anche la recensione, da unificare in un "minisaggio" per entrambi i titoli più famosi del binomio eccellente regista-attore/Rafelson-Nicholson(ma ancora "Un Autentico campione" aveva delle cose notevoli), e che così tanti elementi in comune hanno, che mai basterebbero neppure 8000 battute. Da studiare di più almeno in italiano, dovrebbero essere le evidenti influenze che si avranno in "Shining" di Kubrick-il quale certo non lasciava niente al caso-, da parte di questi due capod'opera visto che proprio ne "Il Re dei giardini di Marvin" compare per la prima volta assieme a Jack, Scatman Crothers, che poi ritroveremo di nuovo assieme in "Qualcuno volò sul nido del cuculo".
Ma al di là di queste affascinanti annotazioni, e a cominciare dal titolo(uguale all'originale, "The King of Marvin Gardens"), che evoca attraverso la metafora del Monopoli e dei racconti familiari del d.j. radiofonico David Staebler/Nicholson, quello che sarà il senso esistenziale e delle parabole di vita che non trova mai un suo senso e una sua realizzazione, precisa collocazione come nel film precedente, "Five Easy Pieces". E grazie all'ambientazione nella grigia e invernale Atlantic City con i suoi magnifici sfondi di palazzoni modernisti anni '30 che faranno da sfondo anche ad uno dei migliori Louis Malle, riesce a non ancorarsi troppo al cinema della fuga (im)possibile dei "film di strada" in quella epoca d'oro del cinema americano; ma a situarsi invece in un discorso sulla decadenza del sogno americano dell'imprenditorialità anche più spregiudicata e a tutti i costi, del "self made man", atemporale e che potrebbe benissimo essere invece nell'America senza tempo e infinita, perpetuata in ogni epoca successiva immotamente, degli anni '50 e del dopoguerra.
Straordinarie le prove dello spettacolo per la raccolta fondi "Blue Hawaii" con il balletto di tip tap di "miss Hawaii", e la gelosia poi distruttrice di "Miss America"/Ellen Burstyn, che sembrano oniriche da cinema prettamente europeo, e poi scopriamo che sono invece reali, e anche queste organizzate dallo straordinario maneggione-faccendiere Bruce Dern. Oltretutto è sempre un piacere ritrovare come nel precedente film John P. Ryan nel ruolo del direttore d'albergo Surtees, sostenere una bella scena di recitazione con Bruce Dern. L'impianto stesso del film è infatti teatrale, con lunghe scene di dialogo sempre molto interessante, scritto e tradotto benissimo nell'edizione italiana. Oltre che ottime angolature di ripresa e scelte di composizione dell'inquadratura, utilizzando al meglio i tanti interni delle camere d'albergo del film. Una in particolare si ricorda, con i due fratelli Nicholson e Dern che parlano in un piano americano, e sullo sfondo Ellen Burstyn che in bagno con la porta aperta, si asciuga i capelli.
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