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Queer

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Queer

di obyone
7 stelle

 

Daniel Craig, Drew Starkey

Queer (2024): Daniel Craig, Drew Starkey

 

Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.

Un centinaio di pagine. Tanto durò il mio personale “viaggio” con lo scrittore William S. Burroughs prima di gettare la spugna e chiudere quel volume dalla copertina gialla, edito da Adelphi, che una carissima amica mi regalò in occasione di un compleanno. Avevo, su per giù, venticinque anni e speravo di riaprirlo una volta riordinate le idee. Così non fu. Quel libro era troppo per me. David Cronenberg quel libro lo finì e riuscì a trasformarlo in immagini in una pellicola del 1991. Bravo davvero. Il suo “Pasto nudo” lo vidi e ci (ri)vidi quelle (poche) pagine senza senso che ero riuscito a completare. La macchina da scrivere, gli insetti e tutto il resto. In fondo, cos’avrei potuto aspettarmi da un collage di pensieri caotici e disordinati scritti sotto l’influsso delle droghe durante un soggiorno a Tangeri dove Burroughs fu trovato dagli amici Kerouac e Ginsberg in evidente stato confusionale?

Detto del mio fallimento come lettore mi si perdoni l’assoluzione auto-impartita se dico che Burroughs è adatto a pochi valorosi e volonterosi. Luca Guadagnino rientra, senz’ombra di dubbio, nel novero, tant’è che lesse, a 17 anni, l’opera postuma più provocante dello scrittore americano, e, recentemente, si è impegnato a trasferirla in immagini come fece David Cronenberg, molto prima di lui, per “Naked Lunch”. “Queer” è l’omaggio del regista italiano ad una lettura giovanile covata per almeno trent’anni. E se “Queer” o “Diverso” o “Checca”, tanti sono i titoli con cui è stato edito in Italia il romanzo, è un’opera di Guadagnino, è anche vero che contiene molto Burroughs, se la lettura di un centinaio di pagine ingarbugliate mi dà il diritto di affermarlo.

 

Daniel Craig

Queer (2024): Daniel Craig

 

“Queer” è un libro difficile da adattare, in primo luogo per la staticità del racconto che nella prima parte è ambientato nei locali gay e nelle squallide stanze d’albergo di Città del Messico. In secondo luogo per la difficoltà di rendere tangibili deliri e fantasie prodotti dall’alcool e dalle droghe. Qualcuno ricorderà l’apprezzabile tentativo di Terry Gilliam di dare corpo ai numerosi trip dei protagonisti di “Paura e delirio a Las Vegas”. I piedi affondano nelle stesse sabbie, per cui, prima di affrontare il film (e per gli impavidi il romanzo) è bene sapere che l’alcool, la droga ed i tentativi patetici di rimorchiare si susseguono in un loop metodico che ha molto dell’assunzione di una dose di eroina. La seconda parte, a contrario, è incentrata sulla rovinosa relazione tra William e Eugene che si consuma tra i paesaggi del Sud America e nel centro dell’Amazzonia. Questo luogo selvaggio ed ermetico, pericoloso e carnale allude agli abissi oscuri della coscienza che implora, sotto l’uso degli acidi e della polvere bianca, di (ri)salire in superficie per mostrare sé stessa ed eludere, finalmente, le costrizioni imposte dalla società civile. Direi che “Queer” racconta soprattutto questo. Il desiderio di essere sé stessi, di vivere alla luce del sole anche se le circostanze concedono di vivere solo nell’ombra.

“Queer” potrebbe scandalizzare per alcune sequenze di sesso piuttosto esplicite ma a mio avviso dovrebbe scandalizzare di piú l’incomunicabilità che si cristallizza in apatia e cattiveria man mano che il viaggio spinge i protagonisti all’interno del proprio cuore. Mentre i due si avvicinano alla foresta amazzonica, perciò verso le profondità inviolabili e oscure del proprio essere, i rapporti tra William e Eugene si deteriorano. Il fastidio di Eugene si acuisce per gli effetti degradanti dell’astinenza di William e trova il culmine nell’indesiderato attaccamento dell’uomo maturo nei confronti di quello più giovane. Direi che i due compagni di viaggio, tranne nelle poche occasioni in cui il sesso lo permette, sono spesso lontani tra loro, mossi da sentimenti contrastanti e chiusi nel loro guscio.

 

Lesley Manville

Queer (2024): Lesley Manville

 

Luca Guadagnino punta l’attenzione sull’asincronia del rapporto tra Lee ed il giovane Allerton. Costui si mantiene in bilico tra opportunismo e piacere ma non sembra emotivamente coinvolto dalla relazione mentre il cinquantenne Lee è più devoto all’eroina che alla stabilità dell’amore.

La vera comunione tra i due, sembra suggerire il regista italiano, è raggiunta nella parte recondita dell’inconscio allorché, assunta la sostanza misteriosa cercata con tanto affanno (lo yage), il desiderio, finalmente libero dalle catene del pregiudizio, si sprigiona nel piacere sessuale raggiunto liberamente e pienamente da entrambi. Ma è un attimo perché lasciata l’avvolgente protezione della foresta, messi a tacere i propri desideri, finito l’effetto allucinatorio ed esplicativo della sostanza psicotropa, i due uomini tornano al punto di partenza (di nuovo il Messico, dunque) alla ricerca di una relazione sentimentale e sessuale appagante e priva di lacci emostatici che non potranno più trovare in quanto lontani della purezza virginale della propria passione.

Guadagnino racconta i freni inibitori delle relazioni mostrando sesso e amore senza sensi di colpa e pregiudizi. Ma l’amara realtà si palesa in un battito di ciglia. Forse lo stesso viaggio in Sud America è frutto di un trip psichedelico prodotto dalla sostanza scaldata nel cucchiaino. E, forse, lo stesso rapporto tra Lee e Allerton è il frutto di un desiderio che ha trovato corpo all’interno di una vena. Personalmente, però, credo nella rappresentazione malinconica di una relazione sfasata e complessa in cui la droga ha unito e separato gli amanti senza farne un unico corpo. E qui bisogna passare alle immagini alla Burroughs che costellano la rappresentazione metafisica della giungla. Guadagnino compie alcuni miracoli visivi sotto l’influsso dello yaga. I cuori pesanti e palpitanti sono fragili doni usciti dalla bocca nella forma di parole d'amore. Quel miscuglio di corpi fusi in uno solo ammasso di pelle e ossa è un desiderio lancinante che il sesso ha il potere di far provare ad ogni coppia di amanti che brami trascendere la penetrazione fisica per una di tipo spirituale. Le immagini di Guadagnino sono potenti come la mano lussuriosa da tergo appoggiata su un paio di natiche, o simboliche come quelle di animali ed insetti che raccontano la paura della felicità e l’irrequietezza dell’animo umano.

  

Drew Starkey

Queer (2024): Drew Starkey

 

Qualche peccatuccio magari c’è in quest'ultima regia di Luca Guadagnino. La prima parte è lenta e il “salto” dalla foresta alle metropoli lascia in preda allo sconcerto. Il finale arriva troppo frettoloso come i sintomi dell’astinenza ma il senso di un’occasione sprecatasi rende perfettamente visibile nell’evidenza di un letto vuoto in una stanza vuota. Forse Lee morirà da solo e forse ad Allerton toccherà lo stesso destino. Guadagnino è coraggioso e poetico, gli interpreti sono eccellenti. Null’altro si può dire. Guardatelo e lasciatelo decantare come un vino rosso il cui bouquet di profumi si apre sulla distanza sprigionando una gamma sempre più ampia di sensazioni. L’odore di sangue e sudore, di polvere e sale, d'erba e ferro rovente vi accompagneranno in questo nuovo tentativo di raccontare l'amore e le sue mille sfumature.

 

Daniel Craig, Drew Starkey

Queer (2024): Daniel Craig, Drew Starkey

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