Regia di Olivier Casas vedi scheda film
Estate del 1948, Michel e Patrice, 5 e 7 anni sono ospiti di un campo estivo vicino alla località di La Rochelle. Quando tutti i bambini ritornano a casa con i loro genitori, Michel e Patrice realizzeranno di essere stati abbandonati dalla madre. Dopo la scoperta del corpo del proprietario della tenuta che li ospita, morto suicida, fuggono nella foresta e vi rimangono per sette anni. A distanza di trent’anni ritroviamo i due fratelli. Michel è architetto è sposato e ha due figli, mentre Patrice è medico anche lui sposato ma senza figli. Quando Patrice scompare, Michel lascia la sua famiglia per cercare il fratello in Canada, ma i segreti del loro passato continuano a perseguitarli.
Il secondo lungometraggio di Olivier Casas ha le sembianze di un film d’avventura che a tratti potrebbe ricordare Il libro della giungla di Rudyard Kipling, non fosse che la storia che ci viene raccontata è basata su eventi realmente accaduti.
La pellicola è sviluppata su due linee temporali: quella del passato, dove ad essere protagonisti sono gli anni in cui i fratelli vivono nella foresta e quella del presente che parte dalla scomparsa di Patrice e prosegue con il dimostrarci quanto il nostro passato finisca, sempre e inevitabilmente, per condizionare il nostro presente.
L’aver vissuto e condiviso un evento così tragico e duraturo, così formativo e inusuale, ha permesso ai due fratelli di coltivare un rapporto simbiotico e incomprensibile ai più a cui hanno tenuto nascosto, come un segreto inconfessabile, il loro difficile passato.
La fuga di Patrice e il conseguente ritorno alla natura, affiancata alla decisione di Michel di seguirlo con la scusante, che racconta alla sua famiglia e a sé stesso, di riportarlo a casa si scontra con la realtà e cioè l’intrinseca necessità dei due, in Patrice più che in Michel, di non riuscire ad omologarsi al mondo. E la fuga ne è l’estrema dimostrazione.
Patrice ci prova a “fare finta di niente” eppure essersi preso cura del fratello piccolo cercando di evitargli la fame, il freddo e la paura, lo ha plasmato in modo irreversibile. Per quanto Patrice e Michel sembrino essere una cosa sola, quei sette anni hanno inciso nel loro essere in modo profondamente diverso.
Olivier Casas ha la capacità, assolutamente non scontata, di mostrarci le due personalità in modo concreto e differente e senza che l’una prevalga mai sull’altra. Non esiste un vincitore e un vinto ma solo due anime scosse da un evento drammatico dal quale hanno cercato di cogliere il meglio che potevano, nonostante l’inesperienza e la giovane età.
Il film è avvolgente film dalle prime immagini soleggiate di un’estate in via di terminazione. Strutturato in modo che gli eventi ci arrivino a volte anche in forma sottintesa ma pur sempre in modo chiaro e concreto. La sceneggiatura è equilibrata tra dialoghi e descrizioni della voce fuori campo di Michel che ci racconta quanto e come Patrice si sia sacrificato per lui.
Il finale, che da un certo momento in poi diventa intuibile, arriva in modo silenzioso eppure estremamente doloroso, con l’unica foto che ritrae Patrice e Michel da bambini e un breve video di Patrice, oggi anziano, che ci guarda dritto negli occhi. Olivier Casas prova a dare voce ai figli perduti, smarriti dai loro genitori, che dopo la guerra erano circa 340.000. Una storia forte, intima e commovente che racchiude un fatto storico da pochi noto
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