Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Che il regista sia affascinato e forse anche ossessionato dal mistero della morte, lo si era già ampiamente capito. Da “I see dead people” de “Il sesto senso” si passa all’invulnerabilità di “Unbreakable”, per finire alla morte inspiegabile ed assurda della moglie di Mel Gibson in “Signs”.
Affascinante ibrido tra “La guerra dei mondi” (citato esplicitamente) e “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, la presenza degli alieni è del tutto funzionale alle domande, in parrte destinate a restare senza risposta, del protagonista, ex pastore protestante che ha abbandonato l’abito talare colto da crisi spirituale a seguito della tragica morte della moglie per mano (casuale) del veterinario del paese (lo stesso regista Michael Night Shyamalan), destinato quest’ultimo a vivere per sempre nel rimorso.
In tutta questa vicenda cala minaccioso il mistero dei cerchi nel grano, presagio foriero di sventura, come dimostrerà l’arrivo degli alieni ostili.
L’abilità del regista risiede nella capacità di coinvolgere lo spettatore nella tensione della storia per mezzo di arditi movimenti della macchina da presa, “occhio” vivo e mobile dello spettatore medesimo, in alcune scene con esigui interventi di montaggio (ad esempio, quando la poliziotta interroga il fratello del protagonista sul primo incontro con gli alieni: la telecamera non stacca sull’una o sull’altro, ma si “gira” verso l’una e poi verso l’altro, a seconda di chi parla).
Inoltre, Shyamalan è uno dei rarissimi registi contemporanei (se non l’unico) a saper reggere bene i tempi lunghi di una scena: solo chi conosce i propri mezzi può osare tanto.
E a chi fosse rimasto deluso dalla supposta puerilità della vicenda, vorrei ricordare che, come Hitchcock ha affermato, ciò che conta non è la trama in sé, ma come la si racconta.
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