Regia di Giancarlo Zagni vedi scheda film
Nell’Italia di fine Ottocento ancora non c’è l’obbligo dell’istruzione. Una maestrina viene spedita dal Piemonte in Toscana per alfabetizzare i bambini del posto, ma il contadino Testadirapa crede fermamente che il piccolo Gosto, suo figlio, serva più come bracciante che come scolaro e si oppone all’idea di farlo studiare. Quando Testadirapa finisce in carcere per sei mesi, Gosto impara a leggere e scrivere.
Prodotto dall’Istituto Luce, Testadirapa è un film per famiglie incentrato su un discorso che ancora, nel 1966, poteva avere una discreta presa sul pubblico italiano: il valore dell’alfabetizzazione è infatti il fulcro delle vicende narrate nella sceneggiatura di Fausto Tozzi, e al netto di qualche soluzione fin troppo banale e di una trama lineare all’ennesima potenza, lanciata a tutta velocità verso il prevedibilissimo lieto fine, il messaggio arriva forte e chiaro. La vera sorpresa, all’interno di un cast composto peraltro da numerosi nomi di una certa rilevanza, è quella di Gigliola Cinquetti nei panni della maestrina protagonista: sulla cresta dell’onda come cantante di musica leggera, la Nostra aveva frequentato il mondo del cinema solo per qualche particina nei soliti musicarelli dell’epoca e le fa onore avere dunque accettato un ruolo per lei fuori dagli schemi. Ma vanno altresì rimarcate le presenze di Folco Lulli, Umberto d’Orsi, Carlo Croccolo, Franco Parenti e Pippo Starnazza; la colonna sonora reca la gloriosa firma di Piero Umiliani, mentre la regia è affidata a Giancarlo Zagni, al suo secondo (e ultimo) lungometraggio dopo La bellezza d’Ippolita (1962). Visione facilmente digeribile, un’ora e mezza circa di durata. 4/10.
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