Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
"Sono stata triste e frivola, determinata e svogliata, come Napoli, dove c'è sempre posto per tutto". È nelle parole finali di Partenope (Sandrelli), nata negli anni Cinquanta, prima studentessa circuita da uomini di tutte le classi sociali e di tutte le età e poi professoressa universitaria cresciuta all'ombra di un docente malinconico e disilluso (Orlando), che si trova il senso (pochissimo) dell'opera numero undici di Paolo Sorrentino. Che con Parthenope firma anche uno dei suoi film peggiori. Stavolta non basta la grande bellezza dell'esordiente Celeste Dalla Porta (espressiva quanto una cernia) a salvare un film inerte, astratto, umorale, assemblato come una successione di quadri d'autore tesi a stupire alla stregua della sfilza di apotegmi ("la bellezza è come la guerra: spalanca tutte le porte") piazzati a caso nei dialoghi, di trovate spiazzanti (i due giovani costretti a un amplesso pubblico, il ragazzo obeso all'inverosimile), di luoghi comuni (il miracolo di San Gennaro) ma anche di momenti sublimi (la scena in cui Era già tutto previsto, capolavoro di Cocciante, va per intero). Sorrentino finisce così col sembrare la parodia di sé stesso, imbastendo una storia sconnessa con al centro una ragazza seduttiva che è l'alter ego del mito della sirena greca, dea e protettrice di Napoli. Torna il tema della giovinezza perduta (Youth), torna la rappresentazione di Napoli (L'uomo in più, È stata la mano di dio). Ma stavolta non ci siamo proprio.
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