Regia di Brady Corbet vedi scheda film
László Toth è un architetto piuttosto noto e apprezzato nel suo paese, Budapest. Quando nel dopoguerra, nel 1947, deciderà di fuggire dall’Europa per andare negli Stati Uniti, la sua vita ripartirà da zero, o quasi. Dovrà attraversare l’inferno prima di potersi ricongiungere con l’amata moglie Erzsébet e di riuscire a rifarsi una vita dignitosa.
Navi piene, stracolme di corpi. Occhi che sbattono per riabituarsi alla luce. Salire sui treni e viaggiare verso la speranza. E poi la pace o l’illusione di essa, nell’abbraccio di quel cugino lontano di cui (forse) neanche ricordavi il volto. L’incipit di The brutalist è veloce, vorace, compulsivo, a tratti incomprensibile. Sembra quasi illuderci che tutto andrà così veloce che le tre ore e mezza che ci aspettano sembreranno dieci minuti e invece poi, rallenta. Inesorabilmente. Ad un certo punto la sensazione è di stare quasi fermi. Immobili. Inermi davanti all’umiliazione e al dolore umano fisico e mentale.
Eppur si muove, tutto. Sempre. Pietosamente.
The brutalist poteva essere un film commemorativo, evocativo e invece diventa una discesa agli inferi nella malata mente umana, nei gesti crudeli, nei pensieri osceni. László Toth è un uomo devastato dal tempo trascorso nei campi di prigionia, strappato dal suo paese e dall’amore della sua vita. Umiliato dall’amato cugino e vessato dalla fame e dalla povertà si rifugia nella droga.
Eppure ci sono dipendenza ben più pericolose. Quando la sua vita incrocerà quella di Harrison Lee Van Buren, che gli commissionerà un lavoro lungo e ambizioso, un monumentale centro ricreativo polivalente. Questo gli permetterà di ricevere un’ottima remunerazione e László la vedrà come l’occasione della vita a tal punto che dedicherà ogni attimo del suo tempo a questo progetto a tratti assurdo.
László perderà la cognizione del tempo e della vita, trascurerà l’amore della sua vita e decentrerà la sua esistenza che verrà investita da eventi profondamente drammatici che incideranno nella sua psiche e nel suo futuro.
The brutalist è un film crudo e doloroso. Potente e sconvolgente. Ti cattura in una rete di inganni, ti culla nel benessere e poi ti sputa addosso tutto lo schifo umano, ed è talmente tanto che ti coglie alla sprovvista, è talmente tanto che non lo credi possibile, che non ti sembra reale.
Per quanto ho trovato l’interpretazione di Adrien Brody (quasi) gemellare a quella del suo W?adys?aw Szpilman ne Il pianista, è indubbio che sia bravissimo a mostrarci l’abisso del dolore. Accanto a lui Guy Pearce in stato di grazia è odioso, repellente nelle sembianze dell’orribile Harrison Lee Van Buren.
Ho amato il montaggio e il lavoro di regia di Brady Corbet (agli oscar tifavo per lui) che ci trascina in un vortice temporale e sensitivo inarrestabile che finisci per portarti dietro anche, molto, dopo la visione della pellicola.
Per quanto possa sembrare, ed effettivamente lo è, lenta, terribilmente lenta nella parte centrale, solo dopo si comprende la vera essenza e la vera importanza, il vero ruolo di quella lenta agonia che altro non è che la sensazione estraniante, la descrizione, la rappresentazione di quella bolla in cui László Toth si è imprigionato, incapace di uscirne. E quindi il tempo rallenta, tutto diventa esasperato ed esasperante. Solo quando, giorno dopo, lo comprendi ne resti estasiato.
The brutalist è un film difficile. Complicato. Eppure bellissimo ma al contempo lento, a tratti noioso. Eppure lo dovete vedere. Tutti. Ne resterete estasiati. Indistintamente.
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