Regia di Brady Corbet vedi scheda film
Oggi vi parlerò di The Brutalist, uno dei film con più nominations agli Oscar di quest’anno, che dopo aver già vinto il Leone d’argento a Venezia e tre Golden Globes, adesso potrebbe vincere anche ben 10 statuette in tutte le categorie principali… (nella videorecensione troverete il link al primo cortometraggio del regista Brady Corbet...)
THE BRUTALIST???????? - recensione di Cristiana Bini Leoni & Roberto Leoni NO SPOILER
(nel video troverete una chicca, il link al primo cortometraggio del regista Brady Corbet...)
Oggi vi parlerò di The Brutalist, uno dei film con più nominations agli Oscar di quest’anno, che dopo aver già vinto il Leone d’argento a Venezia e tre Golden Globes, adesso potrebbe vincere anche ben 10 statuette in tutte le categorie principali…
In realtà, il motivo principale per cui ne parlo è un’affermazione del regista Brady Corbet che dice di aver dedicato tutta la sua vita al cinema, in cui ha lavorato da quando aveva sette anni, perché è l’unica cosa che può fare e per lui è tutto…
Ma per citare il titolo del suo primo film, qual è l’infanzia di Brady Corbet?
Il piccolo Brady invece passava il tempo in un negozio vicino a casa sua in Arizona specializzato in libri fuori stampa, prime edizioni e molta letteratura alternativa. E siccome aiutava i proprietari Mike e Serena alla cassa, in cambio, riceveva… libri!
La passione per la lettura non si è trasformata nell’ambizione di scrivere libri, ma si è fusa con quella per il cinema… Per Corbet, le sceneggiature che scrive sono manuali per realizzare i suoi film…
Il suo primo approccio con il cinema è quando a sette anni la mamma single lo porta ad un provino per Paradiso perduto, un film del 1998 di Alfonso Cuaron e dopo una lunga selezione… non ottiene la parte, però, è notato da un agente che lo lancia come baby attore.
È un giovanissimo cinefilo quando incontra il regista austriaco Michael Haneke di cui è grande ammiratore e così, quando dopo qualche anno scopre che prepara un remake in lingua inglese del suo film Funny Games, si propone ed ottiene una parte!
E durante le riprese convince il produttore Chris Coen a finanziare il suo cortometraggio Protect You + Me con cui ad appena 20 anni vince al Sundance Film Festival.
Proprio quell’anno scoppia la crisi dei subprime costringendolo ad accettare piccoli ruoli televisivi e lavori in nero come sceneggiatore per aiutare la mamma che ha perso il lavoro.
Poi, la sua carriera cinematografica continua con piccoli ruoli in film di grandi registi internazionali, da Lars Von Trier a Olivier Assayas, ma accetta di recitare soltanto per poterli vedere in azione perché ormai pensa solo a preparare il suo primo lungometraggio…
L’idea di “L’infanzia di un capo” nasce da questa fotografia di Mussolini che a cinque anni accanto alla mamma sembra così delicato…
Nella sezione Orizzonti del festival di Venezia, il film vince il premio per il miglior regista e quello per il miglior film d’esordio che il presidente della giuria, Jonathan Demme, paragona all'esordio di Orson Welles…
Nel film c’è una sequenza incubo ambientata davanti ad un palazzo che secondo Corbet è stato determinante nella sua scelta di girare in Ungheria, perché doveva essere rappresentativo del XX secolo con un’aria neoclassica mescolata ad una stalinista brutalista.
Brutalista, una parola misteriosa per chi non ha familiarità con l’architettura… eppure Corbet dice di non essere un fan dell’architettura... strano perché ha sempre un’attenzione maniacale all’estetica “architettonica”, come la cupola di vetro che si ritrova in tutti i suoi film…
Comunque, per Corbet l’architettura brutalista della Bauhaus è rappresentativa di qualcosa che la gente non capisce e quindi vuole eliminare, mentre lui è affascinato da quanto quest’architettura sia stata influenzata dalla guerra.
Perché le costruzioni brutaliste neanche esisterebbero se non ci fosse stata la guerra di cui hanno utilizzato perfino i materiali…
Proprio da una guerra arriva negli Stati Uniti il nostro protagonista, un architetto della Bauhaus sopravvissuto al campo di concentramento, pronto a ricominciare una nuova vita in cui poter esprimere la propria arte, come tenta presto di fare realizzando una meravigliosa biblioteca…
Ma il sogno americano spesso si infrange contro gli immigrati perché sono “diversi” e il mecenate capitalista che gli commissiona un monumento capace di sfidare il tempo testimoniando la profonda sofferenza sperimentata durante la guerra, presto rivela la sua vocazione di padrone…
Tre ore e mezza di film che non pesano minimamente e si arriva all’epilogo in cui finalmente possiamo ammirare l’intera retrospettiva del grande artista, tanto convincente che molti spettatori vanno a cercare notizie di questo László Tóth, senza sapere di tradire le intenzioni di Corbet.
Perché l’autore vuole che sia assolutamente chiaro che il film è una finzione così gli spettatori possono lasciarsi travolgere dagli eventi storici senza chiedersi se l’attore stia usando l’accento del personaggio reale…
Anche se poi Corbet ha utilizzato l’AI per perfezionare l’accento ungherese degli attori, così bravi da essersi tutti meritati una nomination, da quella per il Miglior Attore Protagonista ad un Adrien Brody in stato di grazia, a quelle per i Migliori Attori Non Protagonisti al suo antagonista Guy Pierce e a sua moglie, Felicity Jones convincentissima in un difficile ruolo bloccato sulla sedia a rotelle…
Il rapporto conflittuale tra i due immigrati probabilmente è così efficace grazie alla scrittura a quattro mani di Corbet con la moglie, l’attrice e regista norvegese Mona Fastvold che ha guadagnato insieme a lui una nomination per la Migliore Sceneggiatura Originale.
Il film passa da una prima metà di ottimismo americano ad una seconda di tragedia greca ambientata per lo più nelle cave di marmo di Carrara, un posto dove, secondo il regista, si ha la netta sensazione di come il capitalismo stia cercando di impossessarsi dei tesori del pianeta estraendoli letteralmente dalle profondità della terra…
Carrara è una vera e propria allegoria visiva di questo conflitto che è anche quello tra arte e commercio, soprattutto nell’architettura e nel cinema che sono arti costose…
Anche se Corbet è riuscito a spendere meno di 10 milioni di dollari, sono occorsi sette anni per realizzare il film e lui è fortunato perché conosce tantissimi filmmakers, ma anche musicisti, ballerini, giornalisti, artisti di qualunque tipo che non riescono neanche ad arrivare alla fine del mese e spesso sono costretti a rinunciare ai loro sogni…
Perché occorre sempre combattere per riuscire a fare il proprio lavoro e questo film per Corbet rappresenta anche tutti gli ostacoli che lui e sua moglie trovano continuamente sul loro cammino per portare a termine i progetti in cui credono.
Per questo Corbet un giorno ha detto al suo amico Denis Villeneuve che fare un film è come un matrimonio, non come una notte e via. Però, l’altro gli ha risposto che non è un matrimonio, ma un tatuaggio in mezzo al viso… perché i tuoi film ti seguono per tutta la vita…
Chissà se i due registi si conoscevano già quando Denis Villeneuve girava Blade Runner 2049 dicendo al suo scenografo che voleva che la scenografia sembrasse brutalista, quella severa architettura in cemento che ha avuto inizio negli anni ’50…
Scenografia sicuramente apprezzata dalla scenografa del film Judy Becker, anche lei con la sua nomination meritatissima per lo straordinario lavoro che Corbet le ha affidato immediatamente quando ha scoperto che è ossessionata dal Brutalismo…
Le altre statuette che potrebbero arrivare al film sono quella per il Miglior Montaggio a Dávid Jancsó, figlio di un regista ungherese che ha molto influenzato il lavoro di Corbet, e anche quella per la Migliore Fotografia a Lol Crawley, entrambi nella squadra sin dal primo film.
Mentre il musicista della interessantissima colonna sonora non è più l’icona pop degli anni 60 Scott Walker, che purtroppo è morto nel 2019, ma il suo collaboratore David Blumberg che sembra aver perfettamente raccolto il suo spirito avanguardista, tanto da meritare la nomination per la Miglior Colonna Sonora Originale.
Sin dalla comparsa dei lunghi titoli di testa che scorrono trasversali, gli spettatori sono subito colpiti da qualcosa di insolito perché il film è proiettato in pellicola 70mm…
E Corbet lo ha girato in Vista Vision scatenando infinite polemiche a cui risponde che i costi ammontano a meno del 2% del totale e quindi non sono così esagerati, ma in cambio ha ottenuto una visione molto più ampia, adatta a mostrare i palazzi dell’architettura brutalista.
La Vista Vision era una pellicola usata negli anni 50, moltissimo da Hitchcock per esempio, in grado di ottenere positivi di altissima qualità e di lunghissima durata perché il fotogramma anziché verticalmente scorre orizzontalmente e quindi è grande più del doppio come il formato AIMAX, pensate che può arrivare a una risoluzione di 14K!
Per questo poi il positivo da proiettare può essere stampato in 70mm, come Oppenheimer di Nolan… Sarà anche una finezza da cinefili, ma la visione della proiezione è davvero impressionante.
E secondo Corbet questo formato grande dovrebbe essere recuperato anche per riportare al cinema non solo gli appassionati di supereroi, ma anche tanti spettatori che adesso se ne stanno rintanati davanti ai loro maxischermi…
Come potete capire, Corbet ha molta fiducia nel futuro del cinema e anche se i suoi film portano ottimismo e cinismo quasi in egual misura, lui spera che il pubblico ci trovi comunque una speranza e usa gli stessi attori per interpretare i figli dei personaggi negli epiloghi dei suoi film, perché la vita è come un ciclo che si ripete rinnovandosi sempre…
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