Regia di Alejandro Monteverde vedi scheda film
Piccolo spazio di verità contemporaneo.
Per capire chi vi comanda basta scoprire chi non vi è permesso criticare. Il boicottaggio massivo e pervicace da parte delle major cinematografiche e della critica-che-ne-sa dice più dei boicottatori (e di chi ne tiene i fili) che del boicottato. Il sedicente capolavoro Spotlight fu accolto sul cavallo bianco, con profluvi di premi ed elogi, eppure il tema non è molto diverso, non molto diverso l’atto di denuncia o la finalità, molto diverso tuttavia il bersaglio. In Spotlight si sparava sulla chiesa bergogliona, che era come uccidere ed infierire su un uomo morto. “E’ vero, ci cospargiamo il capo di cenere, siamo pieni di preti pedofili, è vero, scusateci, la pedofilia la pratichiamo solamente noi, scusateci se esistiamo”. Poco importa che le statistiche sul fenomeno della pedofilia nella chiesa siano risibili; poco importa che uno dei massimi teorici del movimento omosessualista, Mario Mieli, fosse un sostenitore spinto della pedofilia; poco importa che una delle finalità ultime del movimento sia il grooming, e che il sogno ultimo sia aggiungere la P alla lunga fila di consonanti lgbtqxyzsupercalifragilistichespiralidoso; poco importa che in Inghilterra siano state smascherate le cosiddette “grooming gangs” e che la narrazione, invece che fare informazione sul fenomeno, si sia affrettata prontamente a dileggiare il nazistissimo Musk che aveva osato denunciarlo. Evidentemente anche la pedofilia, per la Sinistra mondiale, è un reato o meno a seconda di chi la pratica o di chi la condanna. I fatti non esistono mai, ne esiste soltanto la narrazione.
Spotlight era poi aedo di quel tipo di eroismo per cui va matta la Sinistra, quello dei culi al caldo, dei giornalisti pieni di livore e cinismo che scrivono, spesso scribacchiano, ancora più spesso diffamano, l’importante è che il bersaglio sia quello giusto. L’eroismo dell’andare in giro con la mascherina o del presenziare a un gay pride in Ungheria. Meno popolare, più sgradevole, quasi fascista, è invece l’eroismo propugnato da Sound of Freedom: l’agire, nell’epoca di tik tok, dell’apparire, del parlare tanto e del fare mai, non è visto di buon occhio (confrontare i capolavori Sully e Richard Jewell del maestro Clint). Meglio fare piazza con Michele Serra e con Luciana Littizzetto, parlare parlare parlare, sia mai salvare davvero dei bambini da una rete internazionale di schiavitù infantile, c’è sicuramente qualcosa sotto, è tutto falso, è tutto finto, è un complotto della destra, ha stato Trump.
Sound of Freedom non fa nemmeno un nome, Spotlight è invece tutto un additare questo e quello. Il primo però ha rischiato ugualmente di non vedere la luce nelle sale, attaccato da un fuoco di sbarramento senza precedenti. Il pubblico lo ha premiato lo stesso, dandoci un’altra interessante lezione sui rapporti di forza fra le élite e le masse.
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