Regia di Lorenzo Bianchini vedi scheda film
A Trieste, un anziano male in arnese (Richard) viene sfrattato dalla grande casa dove ha vissuto a lungo. La dimora, ormai fatiscente, viene presa in affitto da una madre con figlioletta cieca a carico. Nel frattempo, l’anziano ha provveduto a murare una parte di casa, costruendosi un nascondiglio dal quale uscire soltanto di notte. La bambina se ne accorgerà.
Thriller d’atmosfera, il terzo lungometraggio di Lorenzo Bianchini punta soprattutto sulla dimensione simbolica delle due solitudini, accomunate da una forma di privazione sensoriale. Il film procede così monocorde verso un finale che diventa realismo magico e nel quale si intravede una qualche deviazione verso una dimensione psicologica appena abbozzata e decisamente opaca. La confezione, però, ha le sue frecce: la fotografia di Peter Zeitlinger, storico collaboratore di Herzog, regala all’appartamento un’anima inquieta e pulsante, mentre i suoni e le musiche alternano stridori sinistri a momenti di dolcezza quasi fiabesca. Il problema è che questa poetica del “sottrarre” si traduce in una dilatazione del nulla: una favola nera che vorrebbe evocare incubi e redenzione, ma che spesso resta sospesa a metà strada tra parabola esistenziale e calligrafia raffinata. Così il film finisce per somigliare a un esercizio stilistico – elegante, certo, ma estenuante – dove la lanterna magica del cinema rischia di proiettare soltanto ombre allungate.
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