Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Il grottesco era l’unica chiave di rappresentazione per una tale figura storica, per una tale riflessione sul potere, sulla follia, sulla meschinità, sull’odio, sulla nullità. Ventiquattrore nella vita di Hitler tra pranzi, riunioni, escursioni alpine e litigi coniugali. Il tutto condito con umorismo sardonico e gelido (basti pensare alla sequenza iniziale o alla defecazione del Fuhrer oppure ai «conflitti» fisici di questo ultimo con la compagna Eva Braun la quale non si limita alla violenza verbale, ma anche il coraggio di prenderlo a calcetti nel sedere). I personaggi sono ridicolizzati, mostrati in tutta la loro vacuità e povertà morale sebbene mantengano quello alone diabolico e quella malignità disumana che da sempre caratterizzano il nazismo. Forse ancor più disgustosi del delirante «Adi» sono i suoi collaboratori Goebbels e Bormann tratteggiati come due viscidi falliti, infimi e servizievoli. Aleksandr Sokurov ha ricreato un’ambientazione infernale e tenebrosa avvalorandosi, come suo solito, di un lavoro straordinario sulla fotografia e l’immagine. Il suo è cinema altamente sperimentale e formalmente perfetto e, nonostante si avvalori di una messa in scena sobria e rigorosa, le potenzialità emotive che ne scaturiscono sono indescrivibili. Resta tuttavia una perplessità a livello di sceneggiatura (di Yuri Arabov e Marina Koroneva premiati a Cannes): che cosa significa insinuare che Hitler fosse ignaro dei lager?
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