Regia di Werner Herzog vedi scheda film
In attesa dell'imminente uscita del Nosferatu di Robert Eggers, ho voluto rivedere il remake di Herzog, che non ricordavo benissimo. Herzog ha fatto un omaggio appassionato al capolavoro di Murnau, da lui considerato la vetta del cinema tedesco, ma il suo film ha notevoli meriti artistici, che prescindono dal confronto con l'originale.
Certamente un remake "fedele", che aggiorna con intelligenza molti dei motivi del film di Murnau, stavolta usando i nomi del romanzo di Bram Stoker, ma per il resto la trama, i personaggi e molte sequenze sono costruiti in maniera spesso identica. Herzog aggiunge una fotografia a colori di forte risalto nella valorizzazione figurativa del paesaggio e in una stilizzazione visiva che trascorre senza continuità apparente dal realistico al surreale, dall'orrore all'allucinazione. Le immagini si trasformano spesso in giganteschi quadri animati dove prevalgono tinte spettrali, dove gli spazi aperti della città di Wismar o della Transilvania sono popolati da oscuri presagi, e che trovano un complemento perfetto nelle musiche grandiose dei Popul Vuh, di Wagner, Fricke e Gounod.
La pellicola vuole essere un compendio di temi e suggestioni romantiche con dialoghi ridotti all'essenziale che fanno riflettere sulla solitudine del vampiro e la maledizione di non poter morire, schiavo di una coazione a compiere eternamente il male che può essere spezzata soltanto dal sacrificio di un'innocente. Herzog forse chiude qui la fase più creativa del suo cinema di finzione, poiché nel documentario continuerà ancora a lungo a dare opere stimolanti; "Nosferatu" è sia un remake che un'ideale sintesi delle opere precedenti, e il fascino dell'operazione è innegabile, a cominciare da contributi tecnici lussuosi e curatissimi, fino alle eccellenti interpretazioni di una Isabelle Adjani virginale e spaurita, ma anche determinata ad estirpare la radice del male, un Kinski meno gigionesco del solito, di estrema teatralità nei gesti e nelle movenze di Dracula, ma di una teatralità generatrice di senso, e un Ganz che rende con precisione e bravura la tentazione del male subita da Jonathan e poi l'orrore della mutazione in un clone di Nosferatu.
Con un finale disperatamente pessimista che in un primo momento non mi aveva convinto, ma che finisce per risultare perfettamente giustificato pur nella diversità da Murnau, Herzog suggella un'opera forse sottovalutata alla sua uscita, ma che merita di stare affianco a "Aguirre", "Kaspar Hauser" e "Stroszek" nel novero delle sue più memorabili.
Voto 9/10
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