Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
Interminabile nei suoi tre disorganici atti, “Triangle of Sadness” è ridicolmente sfacciato nelle proprie intenzioni, che tenta di perseguire - invano - fino all'esasperazione.
Appare seriamente difficoltoso pensare ad un risultato più posticcio e distante da ciò che il film pretende di conseguire, tanta è l'inconsapevolezza della superficialità con cui vengono affrontate - e poi subito abbandonate - le più svariate tematiche.
Lo sguardo registico è esso stesso vittima di ciò che racconta, corollato da continui ammiccamenti musicali e fotografici, dove l'eventuale sostanza è completamente seppellita sotto un'orribile strato di patina glamour.
Nell'universo di Ostlund – “Forza Maggiore” primo fra tutti - non esiste l'empatia, l'immedesimazione, il confronto costruttivo, non esiste un personaggio che non sia caratterizzato come un adolescente nel pieno della pubertà; è del tutto assente un qualsiasi elemento che possa suscitare il minimo trasporto emotivo necessario a non distogliere lo sguardo dagli irritanti personaggi.
Con “Titane”, dell’anno precedente, costituisce una coppia di Palme d’Oro foriere dalla preoccupante direzione del premio verso la valorizzazione di un’incauta pretenziosità di facciata, fortunatamente sovvertita già a partire dalla successiva edizione.
Una cloaca di puerili provocazioni non fa una critica sociale, né quant'altro il presente volesse rappresentare.
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