Regia di Alberto Grifi, Massimo Sarchielli vedi scheda film
Fa quasi male pensare che una cinquantina di anni fa Roma fosse ancora così, che ci si potesse fermare a un bar di Piazza Navona, prendersi un caffè e mettersi a chiacchiere di tutto quello che ci passava per la testa e più i discorsi diventavano bizzarri, sconclusionati, allucinati, più le persone si fermavano ad ascoltarli o a dire la loro e così quello spazio condiviso sembrava acquisire un valore concreto, perché creato da chi vi faceva parte, dalle sue storie, problemi, inquietudini, follie.
Se la storia di Anna è quella di una ragazza con una vita tragica, suggellata da primi piani che non le danno scampo, che non la lasciano mai sola, che ne colgono l’essenza in una maniera penetrante, forse anche violenta, il fuoricampo invece è un mondo che non esiste più, non nella sua dimensione urbanistica e architettonica quanto in quella sociale e individuale - Fare un film come Anna adesso sarebbe impossibile, nessuno oserebbe tanto, nessuno se ne fregherebbe di qualsiasi morale, sacrificandosi totalmente all’opera cinematografica. Ancora più ipnotica e avvincente perché sgranata, piena di errori, di parti mancanti, fatta con uno sperimentalismo e una pochezza di mezzi che la rendono così preziosa e umana, un documento che non vuole essere una testimonianza sociologica quanto il tentativo di spingersi oltre l’idea stessa di cinema, i suoi limiti, il suo valore, la sua funzione.
Grifi e Sarchielli forse si sono anche approfittati di questa situazione (e della stessa Anna) in nome di quello che stavano facendo ma non si sono tirati indietro davanti alle loro responsabilità artistiche, divorando l’etica perbenista, per cercare cosa le immagini racchiudono, quale è la loro essenza una volta che ogni codice filmico è stato smantellato e distrutto. La finzione? La verità? Siamo oltre a tutto questo, la purezza di quanto vediamo lascia sbalorditi perché non ci sono limiti se non quelli che le immagini stesse creano in una dialettica costante con il nostro cuore prima che con il nostro cervello, Anna ti costringe a sentire quello che stai vedendo, le domande vengono dopo, in un’epoca in cui non siamo neanche più capaci di esprimere un’emozione, qui ce ne sono un torrente inarrestabile, come se fosse la vita stessa a trascinarci con sé e più sono le incongruenze, i paradossi, i momenti critici, più ci accorgiamo di avvicinarci a qualcosa di pulsante e vivo. Meraviglioso e tremendo.
C’era un film da finire e quando tornavamo a casa non c’era nessuno ad aspettarci - Poi apparivano Anna e Franco e Massimo e lo scrittore che stava tagliando un panetto di hashish in un angolo della stanza e qualcuno sistemava i microfoni e i vecchi videoregistratori e le luci, poi iniziavamo a girare e Anna e Franco parlavano davanti alla videocamera, i primi piani, i capelli lunghi, il fumo delle sigarette e delle canne e lo scrittore prendeva appunti per una sceneggiatura che sarebbe stata scritta solo dopo che il film fosse stato finito - I ricordi di piazza Navona, dei tossici, di quando ci sedevamo ai tavolini e ci mettevamo a parlare liberamente di tutto quello che ci passava per la testa, fatevi crescere i capelli gridava qualcuno mentre mi faceva scivolare un acido in tasca e chissà quando lo avrei consumato per poi rimanermene ore a guardare le persone passare per la piazza e i colori mutare e tremolare ed esplodere - Solo per non aver più nulla da dire, ora che anche il tempo era fuggito via in una dimensione impossibile da definire, un mondo in cui ci eravamo ritrovati tutti e poi di colpo eravamo invecchiati e qualcuno era morto e questo film era rimasto incompiuto eppure sembrava che la vita, la vita di Anna, avesse avuto la possibilità di riscriversi da sola, lontana dalle videocamere e mi ricordava le serate in cui passeggiavo per il centro o mi mettevo sugli scalini di una chiesa a bere birra e fumare hashish e c’era della musica, c’erano artisti di strada, strani personaggi, strane situazioni, c’era quasi la certezza che il presente fosse nostro e noi fossimo parte di esso e poi ogni cosa è andata distrutta e sono rimasti frammenti e stavamo chiusi in camera, io e lo scrittore, a rimettere insieme questi pezzi di nastro, di memoria senza un’idea di quello che ne sarebbe uscito fuori e poi, anni e anni dopo, riemerse un film dal nostro subconscio e lo chiamammo come sarebbe stato giusto fare, lo chiamammo Anna, anche se di lei non avevamo saputo più niente - E tu che ancora mi chiami, a tarda notte e mi racconti la tua vita lontana e io ti ascolto, bevendo vino rosso, continuando a scrivere gli appunti di un ennesimo romanzo mentale, in questa fredda notte di stanchi pensieri, soggetti smarriti, tagli su nastri che portano ancora impresso l’odore della tua pelle di ragazza.
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