Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Amato da Monicelli, un po’ meno dal pubblico che ricorda più facilmente altri titoli del grande regista e che forse era prevenuto circa l’argomento trattato, I compagni rappresenta una delle vette della commedia all’italiana. Sviluppato con un attentissimo rigore storico, sono presenti persino alcuni filmati di repertorio in cui la troupe si avvalse della consulenza di anziani che parteciparono agli scioperi di oltre mezzo secolo prima, o addirittura, ebbe modo di confermare lo stesso Monicelli, si cimentarono nella ricerca di documenti storici provenienti da archivi e tribunali per ricostruire episodi e relative sanzioni o provvedimenti presi nei confronti dei partecipanti alle prime manifestazioni di protesta per un miglioramento delle condizioni di lavoro.
Chi ama i testi di Zola, potrebbe persino rivedere dei tratti in comune con il capolavoro letterario Germinale, ove appunto un nuovo arrivato nella comunità di lavoratori (minatori nel caso del libro) instilla in loro una più consapevole identità di classe e coscienza sindacale. Al di là di parallelismi Monicelli elabora la vicenda con il suo consueto mix di leggerezza alternato ad eventi profondamenti drammatici, i cui protagonisti sono, come in molte altre sue pellicole, un gruppo scalcagnato che si cimenta in un’impresa nettamente più grande rispetto alla propria portata (e chiaramente dagli intenti ben più nobili rispetto ad esempio al “colpo” de I soliti ignoti). In una prima parte, quasi documentaristica nella descrizione delle condizioni operaie, il regista ci accompagna in un girone infernale fatto di 14 ore al giorno di lavoro massacrante e sola mezz’ora di pausa: le maestranze sfiancate, gettate dal gelo delle proprie case, della Torino di fine ‘800, all’asfissiante clima della fabbrica tessile, sono costantemente soggette al controllo dei capi reparto ma ancor più spesso sono esposte ad incidenti ed infortuni. Senza alcuna cassa previdenziale o pensione per gli inabili al lavoro ecco che inizia a maturare la disperata necessità di richiedere un miglioramento dei propri trattamenti: 1 ora in meno di lavoro al giorno. Prontamente rispedita al mittente la richiesta, i lavoratori provano dunque a tentare l’iniziativa di un’uscita anticipata che, per una pura coincidenza, rovina in una situazione ancor più demoralizzante con l’energico operaio Pautasso (Folco Lulli, in una interpretazione meravigliosa) sospeso e il resto della forza lavoro multata. Sarà l’arrivo del Prof. Sinigaglia che strutturerà in modo ben più organizzato la protesta: non una semplice azione di disturbo, ma uno sciopero ben definito e duraturo, con altrettante richieste di miglioramento da avanzare verso i padroni. Monicelli nelle poco più di 2 ore di film, butta dentro materiale che oggi si svilupperebbe in una serie TV di varie puntate: non si accontenta di sviluppare la vicenda dello sciopero, ma in un ritratto ben più ampio assieme alla vita degli operai della fabbrica ci narra le miserie di chi come Niobe ha dovuto preferito finire a fare la prostituta piuttosto che vedersi logorare tra le fatiche della fabbrica, o l’approccio scolastico del fratellino di Omero, analfabeta e giovanissimo operaio della fabbrica che si dispera pur di non vedere il fratello avviarsi verso una vita come la sua, vediamo germogliare l’affettto tra la giovane Bianca ed un soldato meridionale, che dietro l’ingrato compito di doversi schierare con i padroni, cerca di aiutare con qualche razione di cibo gli scioperanti, rivivendo con nostalgia la sua provenienza nel poverissimo Abruzzo o la tragica storia dell’immigrato Salvatore Arrò, unico a non potersi permettere in alcun modo di perdersi nemmeno un’ora di lavoro per lo sciopero, che troverà inizialmente il rifiuto e il disprezzo dei compagni i quali si ricrederanno dopo aver visto in che condizioni vive. Oltre a questi ingredienti più privati Monicelli è lucidissimo nella descrizione delle dinamiche dello sciopero: l’esigenza di organizzarsi, la strategia di acquistare provviste a credito per poter resistere più a lungo una volta che si fosse diffusa la voce relativa alla protesta, vi è anche spazio per la brillante figura del maestro Di Meo che volenteroso nell’aiutare i più bisognosi (tiene lezioni serali per consentire agli operai di alfabetizzarsi e dunque ottenere il diritto di voto, così come organizza collette per le famiglie delle persone vittime di infortuni o di morti al lavoro) viene sostanzialmente esiliato e destinato ad insegnare a Cassino; ma osserviamo anche le contromisure della proprietà: l’aspettativa di veder sedato lo sciopero dalle autorità, la ricerca di manodopera da fuori città (ancor più disperata e quindi disposta ad accettare qualunque condizione di lavoro) fino al mellifluo stratagemma di far diffondere false informazioni tra gli scioperanti in modo che se ne divida la unità di intenti. Come detto dal regista, nelle sue commedie l’esito non può essere positivo: vediamo in uno scontro nella nebbia perire Pautasso, che cercava coraggiosamente di deviare un convoglio ferroviario affinchè non arrivassero dei crumiri a far capitolare lo sciopero. Ma soprattutto dopo uno slancio idealistico interpretato da un meraviglioso discorso di Sinigaglia agli operai, spinti a riprendere lo sciopero e persino all’occupazione della fabbrica, osserviamo la protesta sedata nel sangue: sotto una raffica di colpi dell’esercito muore il giovane Omero, tra la disperazione della sorella maggiore Bianca, che accusa Sinigaglia di essere la causa di tale sciagura. che nel suo idealismo, che già gli è costato la perdita della propria famiglia, sembra non aver considerato lo strazio delle persone comuni. Proprio come nell’epilogo del romanzo di Zola, dunque lo sciopero è destinato a fallire, i lavoratori hanno davanti a loro ancora molte lotte da combattere. In un epilogo che lascia spazio alla speranza, con Raul, da scettico e piuttosto individualista, che inizia la parabola di Sinigaglia, ossia darsi alla macchia e sostanzialmente abbandonare i propri affetti per darsi alla diffusione di una coscienza sindacale, dall’altra, con un ultimo pugno nello stomaco ecco che rivediamo ripetersi il rito dell’ingresso degli operai nella fabbrica con l’aggiunta del fratello minore di Omero, che ha dovuto abbandonare la scuola per sostituirsi al fratello nel lavoro. Insomma un film ricchissimo di spunti, con un mastroianni in versione intellettuale, idealista, trasandato e a tratti persino sconnesso dal contesto nella sua ferma volontà di perorare i propri ideali. Bella colonna sonora di Rustichelli che apre e chiude il film con la marcia Tira di un bùs la cinghia, ma non calar le braghe.
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