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L'ombra del dubbio

Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film

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La recensione su L'ombra del dubbio

di Letiv88
6 stelle

Un Hitchcock minore: buona idea e discreta tensione, ma ritmo irregolare, contorno debole e un doppiaggio che non aiuta.

L’ombra del dubbio (1943) è un titolo che occupa una posizione particolare nella filmografia di Alfred Hitchcock. Realizzato nel 1943, nel pieno della sua fase americana, è un film che spesso viene citato come uno dei preferiti dal regista stesso. Detto questo, va chiarito: non siamo davanti a un capolavoro assoluto, nonostante alcuni lo vogliano mettere sul piedistallo. È un’opera interessante, riuscita a metà, con momenti di grande tensione e altri che si trascinano, un lavoro che mostra il talento di Hitchcock ma anche i limiti di un racconto che non trova sempre il giusto ritmo.

La storia è quella di Carla (Teresa Wright), una ragazza che vive in una sonnacchiosa cittadina di provincia americana. La sua vita scorre lenta, troppo regolare, quasi soffocante. La notizia che il suo amato zio Carlo (Joseph Cotten) verrà a trovarla sembra spezzare la monotonia. L’uomo è affascinante, colto, sicuro di sé, e subito conquista l’intera famiglia. Ma dietro la sua cortesia si nasconde qualcosa di oscuro. La nipote comincia a intuire che dietro lo sguardo magnetico dello zio c’è un segreto spaventoso, e la tensione cresce fino a un confronto inevitabile.

Hitchcock qui lavora su un tema che gli è sempre piaciuto: il male che si insinua nella normalità, il volto rassicurante che si trasforma in minaccia. L’ambientazione è cruciale: una cittadina tranquilla, fatta di famiglie rispettabili e routine quotidiane, che diventa il terreno perfetto per un thriller domestico. Ci sono sequenze riuscite, come la progressiva trasformazione dello zio da figura carismatica a presenza inquietante, o l’uso della macchina da presa che indugia sui dettagli per alimentare il sospetto.
Il problema è che non tutto regge allo stesso livello: il ritmo non è sempre costante, e alcune scene sembrano stiracchiate, quasi a voler allungare la tensione senza avere materiale sufficiente. Hitchcock si diverte a giocare con il contrasto tra luce e ombra, tra vita familiare e pericolo, ma non sempre riesce a tenere la corda ben tesa dall’inizio alla fine.

La sceneggiatura, scritta da Thornton Wilder insieme a Sally Benson e Alma Reville (moglie di Hitchcock e sua collaboratrice abituale), parte da un’idea forte: portare il serial killer dentro le mura domestiche, trasformando la provincia americana in un teatro di sospetto. Alcuni dialoghi funzionano bene, con un sottofondo sinistro che emerge dalle frasi più banali. Altri invece risultano prolissi, e appesantiscono il ritmo. La caratterizzazione dei personaggi secondari è poco incisiva: il padre e la madre della protagonista finiscono relegati a ruoli quasi caricaturali, più di contorno che di sostanza.

Joseph Cotten regge gran parte del film: il suo zio è elegante, magnetico, ma sotto la superficie traspare sempre un’ombra inquietante. È un antagonista che affascina e inquieta allo stesso tempo, perfetto per un thriller psicologicoTeresa Wright interpreta con naturalezza la nipote che passa dall’ammirazione cieca al sospetto e infine al terrore, rendendo credibile la sua evoluzione. Il resto del cast convince meno: i personaggi familiari sono troppo stereotipati, quasi messi lì a riempire spazi più che a dare spessore. Questo squilibrio pesa sull’insieme.

Una delle note più particolari riguarda il doppiaggio italiano. Dopo la guerra, il film fu doppiato in Spagna da attori italiani rimasti bloccati lì. Il risultato è pessimo: inflessioni straniere che si sentono, recitazione legnosa, bambini che sembrano parlare con accenti fuori posto. In alcuni passaggi il doppiaggio è talmente scollato dalle immagini da risultare quasi fastidioso. È un caso in cui la versione italiana toglie più che aggiungere, al punto da rovinare il film. Vederlo in lingua originale con sottotitoli è praticamente obbligatorio per apprezzarne l’atmosfera.

Come da tradizione, Hitchcock si ritaglia un cameo: appare sul treno, seduto a un tavolino mentre gioca a carte con un uomo. Un’apparizione rapida ma riconoscibile, il classico gioco cinefilo che accompagna quasi tutta la sua carriera.

L’ombra del dubbio non è da buttare, ma non è nemmeno il titolo che definisce Hitchcock. È un buon film, con momenti di autentica tensione e un cattivo interpretato alla perfezione da Cotten. Però non ha la forza narrativa e visiva dei capolavori del regista: il ritmo zoppica, i personaggi secondari sono piatti e la suspense non resta sempre alta. Un Hitchcock minore, ma comunque interessante, soprattutto per il modo in cui insinua l’oscurità dentro il cuore della famiglia americana. Da vedere sì, ma rigorosamente in inglese: il doppiaggio italiano è un delitto cinematografico che non merita indulgenza.

 

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