Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
1969. Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è un attore di serie televisive e film di serie B in declino, che, insieme alla sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt), cerca di trovare ingaggi in una Hollywood che sta conoscendo il tramonto del cinema narrativo classico. I loro destini verranno investiti dall'ondata di violenza portata dai seguaci di Charles Manson a Cielo Drive l'8 agosto 1969, venuti ad uccidere Sharon Tate (Margot Robbie).
La carne al fuoco che Tarantino mette nella sua opera ultima (momentaneamente?) è parecchia: "C'era una volta a Hollywood" sembrerebbe voler fornire un affresco del fermento che la Mecca del Cinema (ma più in generale l'America) conobbe sul finire degli anni sessanta, con la crisi dello Star System e la nascita della "New Hollywood", la rivoluzione sessuale, i movimenti hippy e i loro "lati oscuri".
Ma, a dispetto di tutto ciò, in "C'era una volta a Hollywood" solo apparentemente il regista batte territori per lui nuovi: in fin dei conti la cornice storico-culturale che fa da sfondo alle vicende di Rick Dalton serve a Tarantino per rendere omaggio al cinema e alle serie televisive della sua infanzia, attraverso una narrazione infarcita, come di consueto, di riferimenti cinematografici e televisivi, da "Matt Helm" agli spaghetti western, passando per "La grande fuga", "Rosemary's Baby" e la serie "FBI".
Dunque anche le apparizioni di personaggi quali Steve McQueen (Damian Lewis), Sharon Tate (Margot Robbie) o Bruce Lee (Mike Moh) hanno lo scopo, non tanto di contestualizzare, ma di soddisfare l'onnivoro gusto cinefilo del regista. Si tratta dunque di un'opera "Tarantiniana" al cento per cento e profondamente stilizzata: il racconto è pieno di digressioni e la trama quasi assente; i dialoghi sono, come di consueto, al fulmicotone; il grottesco e la violenza sono tenuti un pò a freno ma non mancano le classiche situazioni al limite dell'assurdo (l'arrivo di Brad Pitt al George Spahn Ranch, lo scontro con Bruce Lee, etc..); per converso, il feticismo è ai massimi livelli (a spese soprattutto di Margot Robbie).
Qua e là si intravedono difetti, come ad esempio delle lungaggini eccessive (soprattutto per quanto riguarda le sequenze che vedono Rick Dalton sul set, oppure la routine di Cliff Booth, francamente irrilevante nell'economia della trama), e in generale si ha l'impressione che la genialità e l'originalità dimostrata dal regista con "Pulp Fiction" sia ormai lontana. Comunque, ci si diverte lo stesso.
Il finale metacinematografico, in cui "il cinema si prende la sua rivincita sugli orrori della realtà" ricorda, idealmente almeno, quello di "Bersagli", opera prima di Peter Bogdanovich, sebbene Tarantino vi imponga il proprio marchio di fabbrica, rivisitando anti-storicamente le vicende reali (come già in "Bastardi senza gloria") e indulgendo in maniera volutamente eccessiva in effetti trash e splatter.
Cast ricco è dire poco: Leonardo DiCaprio si produce in una interpretazione assolutamente ottima e da prova di notevole espressività e versatilità; Brad Pitt è il solito "bietolone", ma ha carisma da buttare via, e Tarantino sa bene come sfruttarlo. Margot Robbie come Sharon Tate funziona e anche Margaret Qualley nella parte della ragazza hippie; il cameo di Al Pacino, invecchiato e barbuto, è pleonastico, mentre quelli di Bruce Dern, Kurt Russell e Michael Madsen sono gustosi. Clu Gulager e Tim Roth appaiono invece molto fugacemente e sono quasi irriconoscibili. Colonna sonora ricca e variegata, in cui trova spazio persino un brano di Maurice Jarre facente parte della colonna sonora de "L'uomo dai sette capestri" di John Huston.
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