Regia di Roman Polanski vedi scheda film
La consapevolezza di non avere un briciolo del fascino di Jack Nicholson, neanche quando ha una benda che gli copre metà faccia.
Chinatown è un one man show, dove le tre parole hanno un'enorme importanza per la comprensione del film anche prese singolarmente.
Nicholson (presente in tutte le scene del film) interpreta Jake Gittes, detective privato che viene ingaggiato da una moglie gelosa per scoprire se il maritino se la fa con qualcun'altra.
Fin dall'inizio, per chi ha esperienza con i noir del periodo classico hollywoodiano, il film di Polanski sembra portarci verso il più banale degli svolgimenti.
Abbiamo il nostro affascinante protagonista chiamato in causa da un'altrettanto affascinante cliente, che (guarda tu il caso) si scopre tradita e vulnerabile emotivamente.
Non ci freghi bella, sappiamo benissimo che ci dev'essere una femme fatale e gli indizi ricadono tutti su di te. Sicuramente stai sfruttando i tuoi occhioni da cerbiatta per intortare il nostro eroe, che però non si farà fregare così facilmente e alla fine smaschererà il tuo doppio gioco facendoti fare una brutta fine. Con chi pensi di avere a che fare, eh?!
Però, più passano i minuti e più il nostro eroe non sembra mica tanto un eroe, anzi, sbaglia anche un po' troppo; si fa fregare da una finta moglie, quasi muore annegato e riesce pure a farsi sfregiare da Polanski in versione tirapiedi da quattro soldi.
E lei? Sicuramente è femme, ma di fatale c'è ben poco. Sì, un segreto ce l'ha (e anche bello grosso), però lo nasconde per pudore, non per ingannare.
Ah, il tradimento c'è però. Beccato subito. Il problema è che non frega niente a nessuno, neanche alla moglie. Scavando un po' scopriamo che il maritino fedifrago non è poi così cattivo, anzi, tra tutti i personaggi coinvolti è forse quello che ne esce più pulito, morto, ma pulito.
Ma allora Chinatown è un noir oppure no? Eccome se lo è. Semplicemente non è scopiazzato da ciò che lo precede, ma aggiunge, modifica, evolve.
Polanski prende in mano la sceneggiatura di Robert Towne, basata su fatti realmente accaduti, e la porta su pellicola elevandola a qualcosa di più, modificando il finale perché è Chinatown, a Chinatown finisce male ed è meglio lasciar perdere.
Per non parlare di Nicholson, modellato sull'archetipo (posso dire archetipo anche se non faccio parte di ArteSettima?) del detective bello, intelligente e simpatico, alla Humphrey Bogart per capirci, per poi finire sfregiato con una benda che gli copre mezza faccia per quasi tutta la durata del film. Questo si chiama osare.
E la protagonista femminile? Tutti ci aspettavamo la classica doppiogiochista e manipolatrice, avida ed egoista, invece Evelyn (interpretata da Faye Dunaway) è sì una donna forte e carismatica, ma con tutte le accezioni positive del caso. Il segreto che porta con sé arriva da lontano e non può essere relegato ad un angolino della mente e dimenticato, perché la testimone fisica di quel segreto è con lei e lo tiene a galla costantemente. La sua è una ferita che è impossibile da chiudere.
Si potrebbe parlare ore anche delle atmosfere presenti nel film, sia quelle visive che sonore. La colonna sonora di Jerry Goldsmith è un gioiellino e accompagna il film senza mai prendersi la scena ma facendo compagnia al protagonista come Watson segue Holmes.
Il finale tragico e pessimista mantiene tutto solidamente legato alla realtà, perché la vita non è Hollywood, la vita è Chinatown.
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