Regia di Gian Vittorio Baldi vedi scheda film
Un film ritenuto scomparso e oggi riemerso.
Opera di difficile inquadramento questa "Notte dei Fiori" del romagnolo Gian Vittorio Baldi, cineasta che nel corso di una carriera costellata di pochi films intese rifuggire da qualsivoglia logica commerciale dedicandosi prevalentemente all'insegnamento presso il DAMS di Bologna e all'impegno culturale in genere.
Dopo numerosi cortometraggi e alcune opere apprezzate dalla critica ma rimaste quasi del tutto inedite, Baldi tentò di farsi conoscere dal grande pubblico con un dispiego di attori noti per una vicenda ispirata, sono parole sue, al massacro di Bel-Air.
Usando una curiosa tecnica consistente nell'attribuire a buona parte dei personaggi gli stessi nomi di battesimo dei loro interpreti, Baldi ci narra di due giovani hippies Chris (Jurgen Drews) e Macha (Macha Meril, all'epoca moglie del regista), girovaganti senza una meta ben precisa tra le strade assolate e ciotolose dei siti archeologici della capitale. Introdotti da didascalie incorniciate come nel cinema muto, i due finiscono nei pressi di una lussuosa villa immersa nel verde. Chris, per consolare la compagna in procinto di partorire, s'immagina una storia accaduta all'interno della misteriosa magione che sarebbe abitata, proseguendo il racconto, da quattro strani personaggi: Eva (Dominique Sanda), famosa cantante viziata e sempre allettata in quanto anch'essa gravida; Hiram (Hiram Keller), autore delle sue canzoni; George (lo scrittore e sceneggiatore Giorgio Maulini), press-agent omosessuale e Micaela (Micaela Cendali Pignatelli), un'annoiata miliardaria che si diverte a leggere le carte, oltre a intrattenere rapporti sessuali con ciascuno degli astanti. Un misterioso omicidio commesso nella serra, rappresentato in trasparenza prima di proseguire la vicenda nella villa, spingerà i quattro a un "gioco al massacro", inizialmente solo verbale e che culminerà con l'eliminazione fisica di altri personaggi. Si ritorna nel finale ai due hippies che bussano alla portone della villa senza ricevere risposta alcuna, villa abitata, guarda caso, dagli stessi personaggi del racconto. Macha, ormai stremata, partorisce in mezzo alla natura con il compagno che chiede ai distratti e riluttanti turisti ora passaggi in auto, ora soldi, ora una qualsivoglia assistenza.
Il film si chiude con la disturbante e dettagliata ripresa di un parto con tanto di neonato che fuoriesce dalla vagina con tutta la placenta.
Una storia tragica che avrebbe potuto facilmente sfociare in un horror o in uno slasher da vendere alle platee di bocca buona, diventa per Baldi l'occasione per un apologo contro la società dell'apparire borghese e post sessantottina, connotata da una trasgressione utile solo a dissimulare lascivia e squallido esibizionismo, a vantaggio dell'"essere" e delle relazioni umane basate sui veri sentimenti.
Purtroppo lo sperimentalismo di Baldi, sottolineato dall'efficace colonna sonora di Peppino De Luca, tra motivi ora sussurrati, ora infantili a ricordare quasi l'uccello argentiano, si perde in dialoghi eccessivamente verbosi e cervellotici che rendono il film inevitabilmente figlio del suo tempo.
Sul versante interpretativo, una delicata Macha Meril e uno scanzonato Jurgen Drews incarnano perfettamente quella mollezza distratta dei "figli dei fiori" degli anni sessanta e settanta con i loro vestiti stravaganti, la chitarra a tracolla e quell'inconfondibile e caratteristica aria da eterni vagabondi. La loro presenza, atta a significare quella società dell'"essere" che si vorrebbe idealizzare, si riduce comunque a una piccola frazione del girato, occupato, per la maggior parte, dall'interno della villa, un palcoscenico al quale i due rimangono estranei e che avrebbe meritato ben altre caratterizzazioni.
Se l'imbambolato fotomodello americano Hiram Keller raggiunge le vette dell'inespressività anche la francese Dominique Sanda non riesce a incarnare adeguatamente quel personaggio odioso e catalizzatore per ragioni economiche, risultando, al massimo, antipatica, al pari della principessa di casato Micaela Cendali Pignatelli. Menzione a parte per il "non attore" Giorgio Maulini; press-agent omosessuale e fallito colora con una nota di sarcasmo e autoironia una personalità intelletualmente superiore agli altri tre miracolati dal successo e dai soldi.
Un prodotto in definitiva pretenzioso e poco riuscito, anche per alcuni passaggi narrativi troppo "simbolisti" e poco chiari.
Un film maledetto destinato a un pubblico di nicchia che fruì di una fugacissima distribuzione all'epoca della sua uscita in sala con il divieto ai minori di anni diciotto e subito ritirato.
Nonostante i nudi della Sanda e le accattivanti trasparenze della Pignatelli, fu ritenuto forse poco adatto a noi poveri spettatori delle terze visioni dal limitato tasso istruttivo e culturale. Avvezzi alle grazie della Femi Benussi di turno, agli assassini neroguantati e nerovestiti, nonchè alle piroette dei vari cloni poveri di Bruce Lee, avremmo terminato la visione con lanci di bucce di lupini e variegato pattume dalle gallerie con conseguenti "spedizioni punitive" dalle platee, subito sedate dalle accigliate e nerborute maschere dell'epoca.
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