Regia di Michael Mann vedi scheda film
Un heist movie teso e raffinato, girato con mano sicura e stile inconfondibile. Non è un capolavoro, ma ci va vicino: resta un cult solido, maturo e visivamente impeccabile.
Due uomini, due lati opposti della legge, una città come campo di battaglia. Heat non è solo un heist movie, è un thriller esistenziale che mette a confronto due mondi speculari e due uomini destinati a scontrarsi. Michael Mann firma uno dei suoi lavori più personali e ambiziosi, elevando il poliziesco a una questione quasi filosofica.
A Los Angeles si muovono due figure parallele: Neil McCauley (Robert De Niro), rapinatore professionista, freddo e metodico, e Vincent Hanna (Al Pacino), tenente della omicidi, consumato dal lavoro e con la vita privata a pezzi. I due vivono per quello che fanno, e sanno che prima o poi si troveranno faccia a faccia.
Neil segue una regola precisa, che riassume il suo stile di vita: “Non portarti mai dietro nulla che non puoi abbandonare in meno di trenta secondi se senti puzza di polizia.” È questa freddezza, questo distacco, che lo rende un criminale così pericoloso.

Intorno a loro ruotano storie parallele: Chris Shiherlis (Val Kilmer), braccio destro di McCauley, combattuto tra la vita criminale e il legame con la moglie Charlene (Ashley Judd); Waingro (Kevin Gage), un elemento instabile che mette a rischio l’intera operazione; Nate (Jon Voight), il contatto silenzioso e affidabile che gestisce informazioni e coperture; Eady (Amy Brenneman), la fidanzata di McCauley, legata a lui da un rapporto complicato ma sincero. Anche sul fronte opposto non mancano figure chiave, come Justine (Diane Venora), la moglie stanca dell’assenza emotiva di Hanna, e Lauren (Natalie Portman), la figliastra fragile e silenziosa, che aggiunge una dimensione drammatica al personaggio di Pacino.
Il film intreccia queste traiettorie con precisione chirurgica, portando avanti il gioco del gatto col topo fino allo scontro finale, inevitabile quanto tragico.

Michael Mann costruisce Heat con uno stile glaciale, tutto giocato su silenzi, spazi urbani, luci fredde e dialoghi trattenuti. La regia non è mai invasiva, ma lavora di sottrazione, lasciando parlare i personaggi e la tensione tra loro.
La celebre scena della rapina in pieno giorno è girata magistralmente, un esempio di cinema d’azione puro, crudo e realistico, con l’uso sapiente del sonoro e del montaggio. Ma non è esente da critiche: per quanto spettacolare, è oggettivamente troppo lunga e coreografata al punto da perdere un po’ di credibilità. Sembra incredibile, ad esempio, che nessun civile venga ferito in mezzo a una sparatoria così intensa e prolungata in una zona affollata. Sono dettagli che, seppur marginali, possono far storcere il naso a chi cerca il realismo assoluto.

Altro momento iconico è l’incontro al bar tra De Niro e Pacino. Una scena asciutta, costruita solo sul dialogo e sull’elettricità tra due leggende. È lì che il film si eleva: due uomini diversi, ma con un codice simile, consapevoli che uno dei due cadrà.

a sceneggiatura, sempre firmata da Mann, lavora su un equilibrio difficile: costruire tensione, azione, introspezione. Ogni personaggio ha una sua funzione precisa, una storia che si incastra nel mosaico più grande. La struttura narrativa è ampia, ma non dispersiva, e si prende il tempo di scavare nelle dinamiche personali senza perdere ritmo.
Non mancano però forzature e scelte discutibili. Alcuni elementi sono poco credibili: la precisione con cui la banda agisce, il modo in cui si muovono in città come fantasmi, o la rapidità con cui Hanna collega i fili. E il destino di alcuni personaggi, come Chris (Val Kilmer), viene lasciato sospeso, quasi dimenticato. Sono dettagli che pesano poco sul coinvolgimento, ma ci sono.

Il cast è uno dei punti di forza assoluti. De Niro e Pacino si dividono il film come due poli magnetici opposti. Il primo è misurato, glaciale, contenuto; il secondo è esplosivo, nervoso, imprevedibile. Insieme funzionano perfettamente, e anche se condividono solo una scena vera e propria, bastano pochi minuti per scolpire nella memoria un momento di cinema puro.
Val Kilmer è essenziale, credibile, con uno dei ruoli più solidi della sua carriera. Ashley Judd, Jon Voight, Diane Venora, Amy Brenneman, Denny Trejo e una giovanissima Natalie Portman, già capace di lasciare il segno in poche ma incisive scene, completano il cast con interpretazioni funzionali e solide.

La colonna sonora, firmata da Elliot Goldenthal con contributi di Brian Eno e Moby, accompagna il film in modo discreto ma efficace. Atmosfere ovattate, elettronica minimale e passaggi eterei fanno da contrappunto alle immagini. Il brano finale, God Moving Over the Face of the Waters, chiude tutto con una malinconia che resta addosso.
Heat è il remake espanso di un film per la TV diretto dallo stesso Sei solo, agente Vincent (1989). Ma il progetto ha radici reali: Neil McCauley è ispirato a un vero rapinatore attivo a Chicago negli anni ’60, e il detective Vincent Hanna a un poliziotto che gli dava la caccia.

Heat è un poliziesco che va oltre il genere. Elegante, teso, stratificato, è un film che parla di destino, ossessione e solitudine. La sfida tra McCauley e Hanna è solo la punta dell’iceberg di una storia fatta di scelte impossibili e regole ferree. Nonostante qualche passaggio inverosimile e una durata forse eccessiva, resta un esempio di cinema adulto, consapevole, solido. Un cult, sì. Un capolavoro? Forse no, ma ci va molto vicino.
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