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Sì, ma vogliamo un maschio

Regia di Giuliano Biagetti vedi scheda film

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La recensione su Sì, ma vogliamo un maschio

di mm40
3 stelle

Sandrino e Speranza, due giovani campagnoli toscani, si giurano amore eterno con la promessa di generare un figlio maschio. Passano gli anni e arrivano solo femmine. Il quinto tentativo sarà quello per loro giusto.


“Ah! Come è grande il mondo al lume delle lampade; al lume del ricordo, come è piccolo!”. Con questa citazione di Baudelaire si chiude Sì, ma vogliamo un maschio, l’ultimo film diretto da Giuliano Biagetti a coronamento di una carriera quarantennale cominciata nel 1953 con il melodramma Rivalità. Una citazione struggente e densa della malinconia che la pellicola vorrebbe suscitare con la sua storia agrodolce ambientata nelle campagne toscane di inizio Novecento, ma che per una serie di motivi arriva soltanto a sfiorare e nulla più. Senza dubbio i problemi principali del lavoro risiedono nella sceneggiatura, firmata dallo stesso regista, che affastella una lunga serie di scenette rurali prevedibili e non particolarmente significative inseguendo palesemente l’idea di un racconto corale, di un’epoca e di un luogo che più non esiste e che forse mai è esistito (un luogo della memoria, per l’appunto), segnato da toni sostanzialmente pascoliani: ma Biagetti non è Pascoli e nemmeno Bertolucci – e si vede lontano un miglio. È comunque un discreto artigiano del cinema di casa nostra (che qui peraltro si occupa anche del montaggio) e, al netto dei contenuti non esattamente coinvolgenti, la struttura dell’opera regge; neppure gli interpreti, va detto, lasciano il segno: tra loro i principali sono Giancarlo Sorgi, Federica Tatulli, Domenico Fortunato, Sergio Di Pinto e Laura Fortuzzi. Considerando gli alti e bassi della carriera dell’autore del film e il fatto che nei precedenti 17 anni aveva diretto un solo lavoro (Vado a riprendermi il gatto, del 1989), Sì, ma vogliamo un maschio ha comunque le sue ragioni da difendere. Speriamo che sia femmina (Mario Monicelli, 1985) segue traiettorie parallele e ben distanti da quelle di questo lavoro: nulla a che vedere l’uno con l’altro, al di là dei titoli che si rincorrono e dell’ambientazione delle storie. 3,5/10.

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