Regia di Robert De Niro vedi scheda film
Sarà anche per una fotografia buona anni '80-primi' 90, ma anche un pò dozzinale,
Molti attori nei ruoli minori non sono all'altezza di Palminteri/Sonny o del defilato padre interpretato da De Niro, almeno non sono pessime interpretazioni, ma quando vedi ad esempio tornare nel finale per pochi minuti il Carmine probabile superboss e ferito in strada da giovane nella prima parte del film-evento motore di tutta la storia-, interpretato in memorabile scommessa apparizione da Joe Pesci, vedi la differenza con Lillo Brancato il giovane protagonista, volenteroso ma anche un pò acerbo. La maggior parte dei coetanei adolescenti e teppisti in fieri e cerca di guai, oltre alla longilinea bella fidanzata nera, sono abbastanza insipidi.
Come detto viene utilizzato un tappeto sonoro di canzoni che piacevano all'epoca in un quartiere di italiani a N. Y., come anche per l'Harlem dei neri, in ogni periodo onde indicarci in quale lasso di tempo ci troviamo. E troppo spesso sono le medesime canzoni degli stessi famosi e famosissimi cantanti, utilizzate in altri film d'epoca.
Soprattutto, la più vistosa carenza è quella di non essere un vero film questo cotanto esordio registico di Robert De Niro. È più che altro un mucchio di vignette sconnesse, che cercano di farne un'unica battuta con una narrazione eccessiva e un pò pretenziosa, dalle tentazioni pedagogiche ed educative del liberal De Niro contro il violento e radicato razzismo degli italoamericani verso i neri confinanti di altro "off limits" quartiere, come però viene mostrato a onor del vero anche il razzismo "di reazione" virulent, degli stessi neri verso gli italiani. Alcune delle vignette sono un pò anodine, compresa la morte di Sonny per vendetta familiare 9 anni dopo, perché sono racconti morali a senso unico che capisci dopo 30 secondi, poi non hai bisogno dei restanti 7 minuti di discussioni e litigi con accenti broccolini o meno. E' altresì apprezzabile un approccio sì inevitabile per l'esordio di De Niro alla regia cinematografica, visti i trascorsi coppoliani e numerosi scorsesiani, con il mostrare abbastanza apprezzabilmente con equilibrio nè ambiguità i vincoli e le catene di amicizie o parentele nella mafia, gli affetti veri di fronte ai rapporti che si reggono su paura e i bisogni evasi e costituiti nel loro esaudimento grazie al denaro di chi non ha bisogno di lavorare nella vita "come i fessi", perché si è laureato alla università della cultura migliore, quella del crimine, del gioco d'azzardo e dei vari traffici.
Nota: sono per metà siciliano, ai vecchi tempi avevamo sicuramente dei parenti nella mafia. Proprio accanto a questa cultura, e ancora non mi convince per niente.
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