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SELVAGGI dei fratelli Vanzina: un ritratto impietoso di un'Italia infantile e inguaribile (e un film da rivalutare)
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Leo Gullotta, Monica Scattini

Selvaggi (1995): Leo Gullotta, Monica Scattini

Oggi esce nei nostri cinema Un altro Ferragosto di Paolo Virzì, il sequel ufficiale di Ferie d'agosto. Al che, dal momento che Ferie d'agosto lo conosco molto bene e l'ho visto tante volte, ho voluto rivedere per l'occasione un altro film che alcuni critici ben più esperti di me sull'argomento (Rocco Moccagatta su tutti) hanno spesso affiancato a Ferie d'agosto.

Silvio Orlando

Ferie d'agosto (1996): Silvio Orlando

Il film che ho rivisto è Selvaggi di Carlo Vanzina. Lo avevo visto una sola volta, parecchi anni fa (ero ancora all'inizio delle superiori), quando non ero evidentemente in possesso dei giusti strumenti di contesto e di analisi per indagarne la sostanza con cognizione di causa. Tant'è che finii per buttarlo mentalmente nello stesso indistinto mucchio dei cinepanettoni più fetidi. Tutto questo tempo che è passato mi ha molto aiutato, appunto, a fissare delle distinzioni decisamente più precise all'interno di quel mucchio che all'epoca ritenevo indistinto.

Carlo Vanzina, Enrico Vanzina

Eccezzziunale veramente. Capitolo secondo... me (2005): Carlo Vanzina, Enrico Vanzina

Ad esempio mi ha aiutato a capire che i fratelli Vanzina non sono Enrico Oldoini. Ma anche che i Vanzina degli anni Ottanta (ovvero quelli che tendenzialmente amo di più e che conosco meglio) non sono i Vanzina degli anni Novanta, i quali a loro volta non sono i Vanzina degli anni Duemila. Il romanticismo "morbido" e accondiscendente di Sapore di mare, di Vacanze di Natale, di Amarsi un po'... e di Via Montenapoleone, quello stesso romanticismo che all'epoca veniva visto, per lo più, come assenza di coraggio a battere la via di una critica di costume davvero acida e tagliente (senza mai ragionare, purtroppo, sul fatto che i Vanzina non avevano intenzione di percorrere in toto la lezione paterna, ma di offrire un loro tocco personale a un materiale che non sempre ha coinciso con quello paterno), una volta arrivati alla congiuntura storica di Selvaggi era ormai un romanticismo che probabilmente iniziò ad apparire ai Vanzina stessi come abbastanza inadeguato a rapportarsi alla realtà italiana di allora. La spensieratezza cafona del decennio precedente, così lucidamente fotografata da certi film dei due fratelli, aveva nel frattempo lasciato il passo a una disillusione dai risvolti astiosi: l'eclissi della sinistra, gli scandali di Tangentopoli e infine la discesa in campo di Silvio Berlusconi sembrarono rappresentare l'involuzione definitiva del Belpaese nella direzione di una mestizia sociale che si è sempre più incancrenita.

scena

Sapore di mare (1983): scena

È da questo clima (lo stesso da cui nacque Ferie d'agosto) che sorge, forse quasi inevitabilmente, la necessità, da parte dei due registi, di mettere in scena dei rancori ideologici insanabili ma ormai da barzelletta (essendo proprio l'epoca in cui le ideologie storiche del Novecento stavano collassando) nel modo più consono possibile. E cioè con tipizzazioni da barzelletta. I protagonisti di Selvaggi non sono altro che figurazioni ridicole (e proprio per questo agghiaccianti) delle ormai ridicole e agghiaccianti categorie (dis)umane della nostra Italietta di allora: un chirurgo plastico milanese che occhieggia a Berlusconi, un docente di geografia napoletano simpatizzante per Romano Prodi, un militante comunista ferocemente antiberlusconiano, un playboy barese scansafatiche e un animatore turistico emulo di Fiorello. Ognuno con le rispettive mogli (o quasi, essendoci nel mazzo ulteriori personaggi femminili tra i quali – attenzione! – due modelle americane).

scena

Selvaggi (1995): scena

Figurine, appunto, tremendamente stereotipate. Espressione lucidissima di un Paese (o meglio: di elettori) ormai tremendamente stereotipati. Talmente stereotipati da non poter pensare ad altro che alla propria (moribonda) ideologia: «Ancora co' 'sto Berlusconi?», tuona la moglie del fervente comunista antiberlusconiano (interpretato da Antonello Fassari) per rintuzzare ogni tre secondi l'insopportabile marito. Il quale, ad un certo punto, vanterà addirittura di mantenere una ferrea coerenza coi propri ideali comunisti nello stesso momento in cui si rifiuterà di condividere il proprio cibo – in maniera, appunto, idealmente comunista – con gli altri compagni di sventura: ormai gli ideali sono buoni soltanto per mostrare di averceli più belli di quelli degli altri. Per non parlare del chirurgo plastico di Ezio Greggio che millanta di ballare a pieno ritmo il «mambo del materasso» per mascherare la propria nullità sessuale (e che all'inizio del film compra un pesce fingendo di averlo pescato, perfetta immagine di chi ci tiene a mostrare di avercelo lungo e poco importa che non sia vero).

Cinzia Leone, Leo Gullotta

Selvaggi (1995): Cinzia Leone, Leo Gullotta

Ribadisco: non si tratta affatto di macchiette, ma di vere e proprie figure vuote emblema di un Paese vuoto. La stereotipia è intenzionale, ricercata, calcata a grosse lettere per farne emergere il retrogusto grottescamente tragico. Non è affatto la stereotipia leggera e ammiccante (ma comunque amara) dell'appena precedente S.P.Q.R. – 2000 e ½ anni fa, sorta di dislocazione satirica del caos politico di quegli anni in una Roma Antica a metà fra Pane, amore e fantasia e Una pallottola spuntata, vista anche la presenza di Leslie Nielsen che getta ponti col demenziale.

Christian De Sica, Gabriella Labate

S.P.Q.R..2000 e 1/2 anni fa (1994): Christian De Sica, Gabriella Labate

La trama pre-Lost, invece, va presa per quello che è, ossia uno sfacciatissimo pretesto per mettere in piedi una canonica "drammaturgia dell'angustia": personaggi che non si sopportano (anzi, che si detestano) costretti di punto in bianco a una convivenza forzata. Tanto per fare un esempio, l'aereo che precipita in Selvaggi (o in Lost) è un pretesto narrativo non meno sfrontato della tempesta di neve di The Hateful Eight (la location è una baita nel secondo, un'isola nel primo). E in fondo è la stessa anche l'aura nichilista, perché in entrambi i casi i personaggi non riescono in alcun modo a risolvere i rancori che li dividono, ma solo a cementarli. Nei modi più infantili (e mostruosi) possibili.

Cynthia Watros, Kimberley Joseph, Daniel Dae Kim

Lost (2004): Cynthia Watros, Kimberley Joseph, Daniel Dae Kim

Ed è proprio in questo aspetto che si osserva apertamente una svolta da parte dei Vanzina: nessuna tenerezza, nessuna vera accondiscendenza. I personaggi, in questo caso, sono ritratti con una distanza che spesso diventa respingente. Sono tutti antipaticissimi nella loro volgarità. Alcuni degli interpreti aiutano parecchio ad alimentare naturalmente questa antipatia (tra questi, di sicuro, l'irritante Greggio), mentre altri sono molto bravi a costruirla man mano con la propria recitazione (come Monica Scattini). Davvero nulla a che fare con le performance energiche e compiaciute di Massimo Boldi e di Christian De Sica, il primo generalmente pacioso in quanto "bambinone" bisognoso di sostegno, il secondo sempre molto rapacemente coinvolgente nella propria esuberanza volgar-erotica.

Christian De Sica, Massimo Boldi

Super Vacanze di Natale (2017): Christian De Sica, Massimo Boldi

In questo senso, il riferimento non è più la commedia rosa degli anni Cinquanta (da cui i Vanzina avevano sempre classicamente attinto) e nemmeno la commedia all'italiana classica (a cui si riallacciava soprattutto Yuppies – I giovani di successo), bensì (con i dovuti distinguo, sia chiaro) la commedia all'italiana degli anni Settanta, più brutta, sporca e cattiva (citando Ettore Scola). Spesso cinica. In qualche circostanza anche troppo (si pensi a I nuovi mostri, modello più o meno limpido di Selvaggi per certe impostazioni acidule di registro). È paradossale a dirsi, ma il rischio è che anche Selvaggi finisca addirittura per dipingere i suoi personaggi come troppo antipatici, perché in questo modo gli spettatori se ne potrebbero distanziare al punto da dimenticare (o tralasciare) che quelli che vedono sullo schermo sono proprio loro (siamo proprio noi).

Ugo Tognazzi

I nuovi mostri (1977): Ugo Tognazzi

Però lo squallore rimane lapalissiano. La dolcezza malinconica della partitella a pallone tra Roma e Juventus nella Valle della Morte di Vacanze in America ha lasciato il posto a una desolante tombolata in mezzo a una spiaggia. Persone che dovrebbero temere per la propria sopravvivenza e che invece si scannano a man bassa per le loro opinioni politiche. Per poi provare a far pace con un generico appiglio alle tradizioni unificatrici (la tombola, appunto, o ancora una volta il calcio). Sono tutti, come si diceva, dei "nuovi mostri". Comprese le mogliettine. Nel cinema dei Vanzina, per chi lo conosce veramente, le donne non hanno mai fatto tappezzeria. Qui infatti sono figure non meno attivamente "mostruose" dei maschietti. Inoltre, non a caso, le uniche a salvarsi dalla mostruosità generale sono proprio le modelle americane che ho citato pocanzi (in quanto non italiane!).

Jerry Calà, Claudio Amendola

Vacanze in America (1984): Jerry Calà, Claudio Amendola

La differenza con Oldoini e i suoi Anni 90 (o le sue vacanzacce di Natale) è davvero netta ed è tutta nel rapporto stilistico con la TV (commerciale), che incarcera ognuno di questi italiani-tipo nel famigerato «linguaggio da talk show» che i Jalisse arrivarono a citare nella loro canzone d'amore che vinse a Sanremo (tanto per far capire quanto ormai la televisione fomentatrice di contrapposizioni sterili fosse parte integrante della quotidianità degli italiani). Quello che nei cinepanettoni di Oldoini era solo l'impronta passiva di un sentire (ossia l'assorbimento di un modo di esprimersi e anche di ritmi comici mutuati dal piccolo schermo più deteriore), i Vanzina lo trasformano in un elemento contestuale dai tratti allarmanti, connaturato ai personaggi e non certo alla scrittura (vedasi le battute che non fanno ridere del personaggio penosamente wannabe showman di Franco Oppini).

Silvio Berlusconi

Girlfriend in a Coma (2012): Silvio Berlusconi

E vi ricordate le sigle dance degli Oldoini degli anni Novanta? I Can't Stand It dei Twenty 4 Seven a mo' di videoclip sciistico come incipit di Vacanze di Natale 90, ma anche Living on My Own di Freddie Mercury in edizione remix che apriva Anni 90 – Parte II, non avevano altro senso se non quello del cinepanettone: piazzare in bella vista la hit del momento per catturare il pubblico fin dai primissimi minuti del film e chiarire di volerlo soprattutto divertire (e rassicurare). L'utilizzo invece dei brani dance in Selvaggi, sebbene a un primo sguardo possa somigliare a quello che ho appena descritto, ha un sapore di tutt'altro segno. I titoli di testa sulle note di Scatman (Ski Ba Bop Ba Dop Bop), anche per la grafia impiegata nei crediti, è come se tendessero una trappola al pubblico che si aspetta esattamente di vedere un cinepanettone (il film, in effetti, fu l'uscita natalizia del 1995 targata Medusa, che peraltro era appena passata sotto l'egida berlusconiana della Fininvest). Ma è già di per sé straniante che al posto delle montagne nevose di Cortina d'Ampezzo o di St. Moritz compaia un paradiso tropicale. Ed è ancora più straniante che il film – lo scopriamo quasi subito, per bocca del personaggio di Greggio – sia ambientato durante le vacanze di Natale! Perciò è quasi come si trattasse di una versione "distopica", decontestualizzata e "sbagliata" del film pecoreccio di Natale (analogamente a ciò che proponeva S.P.Q.R. nel suo rapporto "dislocato" tra Storia e presente).

locandina

Selvaggi (1995): locandina

Quando poi, arrivati a un certo punto della vicenda, il personaggio di Emilio Solfrizzi imbastisce un improvvisato DJ set con una radio portatile per festeggiare il Capodanno sulla spiaggia notturna, la colonna sonora da discoteca acquisisce definitivamente un'impronta mortuaria e fatiscente. Che è quella, cristallizzata decenni dopo dalla serie Boris, della locura: «Il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillette! [...] Questa è l'Italia del futuro: un Paese di musichette mentre fuori c'è la morte!». Ricordiamolo di nuovo: il film racconta di un gruppo di personaggi che dovrebbero lottare per la propria sussistenza (auspicabilmente facendo fronte comune). E che invece non trovano niente di meglio da fare che riprodurre a macchinetta il proprio stile di vita triviale, menefreghista, reazionario (anche quando di sinistra) su un'isola deserta in cui suonano terribilmente fuori contesto (Greggio si mette persino lo smoking!). Dovrebbe essere un survival movie, ma l'italianità fetente con cui è vissuto dai protagonisti lo rende simile a un qualunque cinecocomero di quelli girati dai Vanzina anni dopo. Una tragedia che deraglia in una vacanza (che è l'esatto opposto di ciò che succede nel film di Virzì, dove una vacanza deraglia in una tragedia). Esiste una metafora più nitida e precisa di quella che è stata l'Italia dalla Seconda Repubblica in poi? Soprattutto: è esistita nel cinema di quegli anni al di fuori di questo film?

E a tutti questi mostri è riservato un destino desolante. L'unico possibile. Nemmeno un destino punitivo, ma proprio desolante. Rassegnato. Senza uscita, ma in senso inerziale. Non c'è speranza (né di salvezza, ne tantomeno di redenzione) per questa Italia. Che rispetto ad allora non è affatto cambiata (semmai è peggiorata). Sono cambiati i tipi, ma non il clima. Che da barzelletta era e da barzelletta rimane oggi. Selvaggi eravamo e selvaggi restiamo (e resteremo). È per questo che il film è tutt'ora attualissimo. Se ne facessero un remake adesso, chi sarebbero i "nuovi mostri" protagonisti? Un operaio salernitano che vota Lega? Un manager toscano snob in quota PD? Un content creator trentenne ex elettore dei Cinque Stelle che poi è passato a tifare per Giorgia Meloni (avendo magari i genitori di sinistra)? Sbizzarritevi un po' voi.

Non è mia intenzione, ovviamente, far passare i Vanzina per Michael Haneke. Ma state sempre attenti, a creare mucchi indistinti. State sempre attenti, a dire che un film strizza l'occhio al malcostume se nei fatti i personaggi li tratta con crudeltà drammaturgica e li punisce fino in fondo. E domandatevi sempre se le lenti con le quali guardate i film non possano essere diverse. Soprattutto: i film riguardateli sempre. A maggior ragione se è passato un sacco di tempo dalla loro uscita. Il gap temporale può essere sempre viatico di uno sguardo meno pregiudiziale (o anche più maturo) su quello che è stato. Poi certo, è sempre possibile confermare appieno le proprie posizioni "storiche" anche passando attraverso una nuova visione, ma alcuni film, ve lo garantisco, valgono più di altri lo sforzo (o il tentativo).

Carlo Vanzina

Un'estate ai Caraibi (2009): Carlo Vanzina

Chiudo con questa suggestione che mi è balenata all'ultimo: e se Selvaggi fosse esattamente tutto quello che non è stato e che voleva essere The Palace di Roman Polanski? A parte ovviamente la diversità di focus (essendo The Palace impegnato a sbertucciare l'aristocrazia moribonda e l'altissima borghesia decadente europea), ma intendo proprio in termini stilistici e progettuali. Pensateci.

Oliver Masucci, John Cleese, Fortunato Cerlino

The Palace (2023): Oliver Masucci, John Cleese, Fortunato Cerlino

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