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Il seme del tamarindo

Regia di Blake Edwards vedi scheda film

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vincenzo carboni

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il seme del tamarindo

di vincenzo carboni
8 stelle

I bellissimi titoli di testa disegnati da Maurice Binder introducono ad un garbato inseguimento appoggiato alla musica di John Barry. La sagoma di Sharif si fa da presso a Julie Andrews che avvertita scruta la presenza dell’uomo dentro un caleidoscopio di colori rossi e blu. È uno slalom, nel dolce sospetto che pure induce all’incontro, come se il velo che copre il volto dell’altro fosse la spinta a vedere meglio, a considerare fino a dove si può spingere la menzogna o l’abbandono alla verità. Assai rarefatto questo film di Edwards, gentile, misurato come il volto di Julie Andrews, del personaggio di una donna –Judith- che ha bisogno di ricominciare nonostante i calmi dinieghi di circostanza, non troppo severi, tanto da cedere signorilmente, lentamente, eppure con celato lo slancio quasi febbrile di cui è animata: vuole un uomo, forse per dimenticare il trauma di averlo perso in un incidente d’auto, o forse perché lo vuole e basta, come un uomo può volere una donna. C’è una cortina di ferro tra un uomo e una donna, qualcosa di segreto e che tuttavia deve rimanere tale. Una moglie? Una amante? Una perversione? Un tradimento? Una ambizione? Ogni personaggio è trattenuto come una mosca impigliata nella tela di un ragno, e la rete che trattiene tutto sono le parole, sempre in attesa di destare il sospetto che ispirano. Dire per non dire, dire troppo per nascondere il tutto. Non dire nulla non si può, la sola cosa che non si può fare. Il ragno è la guerra fredda, tale da raffreddare ogni slancio, ogni passione. Anche queste divengono ben presto esercizi di professione, sia che si tratti di una donna (il matrimonio) che un ideale (il comunismo). Eppure proprio tra questi nodi così stretti si dipana una semplice storia d’amore, almeno resa semplice anche grazie al volto dolcissimo dei due interpreti, i quali sembrano proprio abbiano voglia di tornare ad essere bambini per fare giochi da bambini. Anche la guerra è un gioco da bambini, ma questo può avere presto sembianze così vere da sembrare reale, e diventarlo. Entrambi vogliono fuggire, ecco il segreto che li unisce, e nello svolgersi della vicenda questo diventa più chiaro per ciascuno. Non è solo Feodor ad usare Judith. Il Canada rappresenta la terra fredda, il posto lontano del mondo, in cui nascondersi non tanto ad una potenza nemica quanto dal virus delle parole, sempre pronte a tradire. In quel lontano paese sembra non arrivare la tela del ragno che imprigiona i corpi, raffredda gli slanci. Solo il funzionario inglese dell’intelligence –Loder- tiene alta la guardia: consiglia, circonda, benevolmente controlla la tenera segretaria –Judith- come un padre farebbe con la figlia adolescente che si sta cacciando in un brutto guaio. Il desiderio è avere un lungo viale dove passeggiare stretti l’uno all’altro, da soli, lontano dalle complicazioni del mondo, senza cifrature che non i propri semplici e intraducibili sentimenti.

 

 

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