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Splendor

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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La recensione su Splendor

di LorCio
4 stelle

Giordano, detto Jordan, è il gestore del cinema Splendor, nato come arena per poi diventare sala cinematografica. S’invaghisce di un’affettuosa ex ballerina francese, Chantal, che inizia a collaborare con lui nel ruolo di maschera in sala. Di lei s’innamora platonicamente anche Luigi, giovane travolto dalla passione per il cinema, che se la porta a letto. Abbandonati i sogni d’amore, Luigi viene assunto come proiezionista. Finché i troppi debiti e il progressivo calo degli spettatori portano Jordan a vendere il cinema al signorotto del paese. Ma un’ultima sorpresa finale sconvolgerà i piani dell’acquirente.

 

 

Splendor è un film che nasce da un’urgenza. Come nei coevi Nuovo cinema Paradiso e Via Paradiso, lamenta la morte del cinema in sala e la rappresenta attraverso l’espediente concreto della chiusura di una sala cinematografica di provincia. A differenza, per dire, del film di Tornatore, che ha una sua dimensione anche in quanto appassionato melodramma di formazione che si nutre di cinema, Scola pare lasciarsi travolgere dall’impellenza civile della denuncia e finisce per abbandonarsi ad un tono più lamentoso che commosso, funzionale alla causa più che alla necessità artistica. Soprattutto è un film moscio e un po’ fiacco, che non riesce a farsi credere in quanto cavalcata nostalgica per scelte direi sbagliate pur nella legittimità dell’azione poetica (esempio: capisco che voglia soltanto suggerire l’idea del ritorno dell’eroe e via dicendo, ma come credere al sessantenne Mastroianni che torna trentenne dal fronte?) e per una superficialità narrativa che non gli permette di coinvolgere appieno lo spettatore nelle dinamiche della storia.

 

 

I due protagonisti non danno un grosso contributo: Troisi ripropone il suo approccio malincomico indolente e surreale in un personaggio che vive in funzione del cinema, a cui si vuol bene ma non si crede fino in fondo; Mastroianni va di mestiere in nome della causa e dell’amicizia. La matronale Marina Vlady è un bel ritorno ma non proprio convincentissimo. Note di merito alla caratterizzazione dell’ottimo Paolo Panelli, alle musiche di Armando Trovajoli, alla fotografia di Luciano Tovoli e ai costumi di Gabriella Pescucci.

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