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You'll never be alone

Regia di Alex Anwandter vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su You'll never be alone

di alan smithee
5 stelle

Padre e figlio si vogliono bene e si rispettano, nonostante non riescano a capirsi veramente e a confidarsi i reciproci problemi (rapportarsi col mondo esterno per il ragazzo, risolvere i crucci lavorativi che lo affliggono, il padre) che riempiono le rispettive giornate. Dramma coinvolgente diretto bene ma assemblato in modo troppo frammentario.

locandina

You'll never be alone (2016): locandina

8° IN & OUT FILM FESTIVAL - FUORI CONCORSO

Direttamente dall'ultimo  Festival di Berlino, ove gli fu riconosciuto il Premio della Giuria nell'ambito dei collaterali Teddy Bear, l'opera prima del regista cileno Alex Anwandter evidenzia già dalle sue prime scene una certa accuratezza nella costruzione e una direzione sicura che segue Pablo, protagonista assoluto di una prima parte di film, diciottenne "figlio di papà" vissuto sempre un pò nella bambagia e custodito come un tesoro da un padre vedovo dal cuore d'oro. Il ragazzo non nasconde certo le sue tendenze omosessuali, ed anzi trova in una amica di scuola affiatata e sincera, l'individuo con cui aprirsi in confidenze ed intimità che invece, per diversi motivi, Pablo non riesce ad instaurare col pur adorato padre. 

Il quale soprassiede o comunque non fa pesare al figlio le sue effeminate movenze ed attitudini, ma anzi lo asseconda sino a viziarlo, crescendolo in un ambiente che lo tiene fuori dalla realtà dell'ambiente circostante, impermeabile e per questo imprudente nei confronti delle minacce che provendono soprattutto dall'ambiente scolastico dei suoi coetanei.

Vittima di un brutale pestaggio da parte di una gang omofoba ed intransigente, Pablo viene ricoverato in fin di vita e con gravi traumi alla testa in ospedale.

Andrew Bargsted

You'll never be alone (2016): Andrew Bargsted

Sergio Hernández, Andrew Bargsted

You'll never be alone (2016): Sergio Hernández, Andrew Bargsted

Da quel momento il film si sposta sulla figura controversa del padre, uomo buono ed imprenditore sul finire della carriera, titolare, almeno in modo figurato, di una ditta che produce manichini per la moda, soggiogato dalle decisioni arbitrarie di un socio occulto che si cela dietro la sua figura per allacciare patti ed alleanze di cui l'uomo è tenuto completamente allo scuro.

Messo alle strette e succube di progetti che non condivide, l'uomo deciderà di ribellarsi e di prendersi ciò che gli spetta, tenuto conto delle ingenti soese che dovrà necessariamente sostenere per le cure e plastiche ricostruttive di cui ha bisogno il figlio, scampato per un pelo alla morte in seguito al brutale pestaggio.

Come già detto il film è girato piuttosto bene e con una professionalità che fa ben sperare sul futuro del regista. I problemi semmai risiedono in sede di sceneggiatura, che decide sin troppo bruscamente di virare da padre a figlio senza tenere conto delle esogenze e delle necessità di informazione di un pubblico che aveva, con tutta probabilità, iniziato ad affezionarsi alla figura di Pablo, desiderandone conoscere le evoluzioni del suo dramma.

Sergio Hernández

You'll never be alone (2016): Sergio Hernández

Andrew Bargsted, Gabriela Hernández

You'll never be alone (2016): Andrew Bargsted, Gabriela Hernández

Forte dell'interpretazione di uno dei più noti attori cileni del momento, Sergio Hernandez, (co-protagonista pure di In the grayscale, presente pure lui qui al festival) la figura di Juan trasuda umanità e comprensibile desiderio di riscatto. Tuttavia la sua figura appare un pò fuorviante nel contesto di una storia di prevaricazione ed intolleranza che, a mio modo di pensare, meritava un più coerente rispetto del suo svolgimento narrativo.

Splendide le musiche melodrammatiche che accompagnano il film specialmente nella sua prima parte, in netto contrasto con il contesto discotecaro scatenato in cui si muove la vita notturna di Pablo. la regia avvolgente e sinuosa segue le movenze effeminate e molto aggraziate del ragazzo mentre mima e re-interpreta le canzoni melodoche che sentiamo in sottofondo, secondo uno stile ed i colori accesi che ci ricordano molto lo stile di Almodovar.

Sul finale Lucio Battisti intona una appropriata e necessaria "Il mio canto libero" in una bellissima versione spagnola. 

You'll never be alone riesce a creare suggestioni e a risultare interessante, nonostante le incertezze di una sceneggiatura che non lega come si vorrebbe (e sarebbe lecito pretendere) due vicende assai connesse l'una all'altra, impedendo alla storia di approfondire le dinamiche di un rapporto padre e figlio che poteva e doveva rappresentare il pezzo forte della storia

 

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