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Belli di papà

Regia di Guido Chiesa vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Belli di papà

di alan smithee
5 stelle

Allavorare!!!! Questa è la cura per sanare lo stordimento da vizi e agi a non finire. Almeno secondo l'indole e la personalità del nostro manager Vincenzo, vedovo da anni con tre figli vissuti nella bambagia, accontentati in ogni più futile desiderio quasi per sostituire con l'agiatezza un'affetto venuto meno con la scomparsa prmatura della loro madre.

Figli del benessere, dell'imprenditoria che si è  fatta da sé, ma che non ha voluto o saputo educare e responsabilizzare la propria prole al senso del dovere che per il genitore  è  un codice comportamentale, mentre per la nuova generazione nulla più che un optional sconosciuto.

Quando tutto sembra volgere verso l'irrecuperabile per un maturo imprenditore edile pugliese emigrato al nord da ragazzo e fattosi da solo, l'unica alternativa per distogliere i tre figli balordi, ingenui, poco pratici ed incapaci, risulta quella di simulare una fuga per una ipotetica bancarotta fraudolenta, trovando asilo dopo un lungo viaggio in panda, nella vecchia, trasandata, pericolante casa di famiglia: costretti loro malgrado per una volta a trovarsi ognuno un lavoro semplice, manuale o umile per portare finalmente qualche sostanza concreta a casa,  ad un padre (fintanente) infartuato che per una volta diviene oggetto di assistitenza e non più il naturale finanziatore a fondo perduto di imprese senza costrutto o divertimenti  scellerati. 

Il noto e stimato regista Guido Chiesa cambia completamente  registro e trova rifugio nei territori ampiamente percorsi della commedia degli equivoci : scelta rischiosa assai, ma che denota coraggio e voglia costruttiva di confrontarsi con nuovi linguaggi  e generi: cambiare rotta comporta coraggio e capacità  di adeguamento anche quando di passa da un genere alto e decisamente piu' autoriale come l'adattamento da un celebre romanzo (Il partgiano Johnny), da un film rischioso sui primi anni di Gesù, da un ritratto sessantottino della gioventù  ribelle in possesso di ideali e voglia di fare e cambiare ai sentieri più  elementari, ma tutt'altro che semplici, della commedia all'italiana, specchio edulcorato forse ma tutt'altro  che menzognero della realtà  che ci circonda.

Il risultato non si può  certo considerare esemplare e riuscito, ma la presenza ciclopica e smargiassa di Abatantuono nel ruolo del padre distratto e manager di grande capacità, quella ironica e tuttavia molto concreta di Antonio Catania, consigliere schietto e sincero sino a risultare scomodo, oltre alla conferma di un talento nascente come quello di Matilde Gioli, una Eva Green italiana dallo sguardo conturbante - riescono a rendere  la commedia gracile e lievissima, ma con qualche battuta riuscita, sapida e spiritosa, un tentativo almeno parzialmente  riuscito di fare commedia con dignità  e serietà  di intenti.

A dimostrazione che si può restare sui toni leggeri e lievi pur in presenza di tematiche anche serie come quelle dell'adeguata inevitabile necessita' di educazione e responsabilizzazione della prole,  o la difficoltà  di riuscire ad essere genitori  adeguati o, dall'altra parte, il saper crescere e maturare come una generazione che non sappia solo sperperare e dilapidare risorse, ma invece anche creare valore nell'ambito di un mondo ormai devastato sempre più dalla futilita' e dalla irresponsabilità.

Francesco Facchinetti, "per la prima volta sullo schermo", appare disinvolto e sicuro di sé, ma più che recitare, si limita a fare se stesso, o ad apparire coerente ed in sintonia col personaggio che trapela di lui attraverso l'evanescente ed illusorio mondo televisivo che lo ha reso personaggio pubblico.

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