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Via Montenapoleone

Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film

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La recensione su Via Montenapoleone

di alan smithee
6 stelle

VANZINA & CO.

Una canzonetta popolare non proprio conterranea, ci introduce nel salotto di una Milano “da bere”, quella via Montenapoleone che tutto fuorché un passeggio pedonale dedicato alla moda riesce ad apparire alla vista dell’occhio estraneo del turista: strada della moda dei ricchi, che devono accedere coi loro suv presso le boutiques esclusive, che se ne infischiano del passeggio ed anzi, potessero, ne farebbero volentieri a meno.

Una strada-simbolo di un’epoca che a fine anni ’80 stava vivendo le fasi finali di quella euforia contagiosa che la rese la capitale dello yuppismo e della soddisfazione economica da parte degli intraprendenti, dei furbi, e dei belli.

Attraverso le vicende personali di due splendide amiche venticinquenni, la fotografa di moda Elena, single per scelta e alle prese con un padre scialacquatore e puttaniere, e Margherita, la statuaria moglie annoiata di un facoltoso imprenditore, il film si spinge a districarci in cinque o sei vicende che si intersecano tra di loro, fornendoci uno spaccato, oggi certamente ancor più interessante ed istruttivo che nel momento dell’uscita del film in sala, di quel clima quasi isterico che fomentava e dava carattere a vite, scalate sociali, avventure sentimentali a base di promiscuità ed arrivismo, ma anche prese di coscienza e primi orgogliosi outing dinanzi ad una società ancora provinciale, contraddittoria ed impreparata anche nella lussureggiante ed esclusiva capitale dell’alta moda.

Via Montenapoleone, sorretto dal maestoso portamento delle due top Simonsen+Alt (belle, troppo belle, pertanto forse non credibili, ma tutt’altro che imbarazzanti), nonché da qualche prova d’attore non trascurabile (il giornalista scapolo Barbareschi e la Cortese, madre e figlio che imparano a comprendersi e ad accettarsi, e un giovane Bentivoglio playboy da top usa e getta), oltre che da siparietti gustosi (Paolo Rossi), funziona ancora più oggi che, nell’affrontarlo, possiamo valutare l’inaffidabilità del futuro dinanzi al progresso: il film di Carlo Vanzina ostenta l’utilizzo dei primi cd musicali a danno dei vinili, quando ben sappiamo oggi che questi ultimi sono tornati ad avere la meglio sui primi, pressoché oggetto vintage. E poi i primi enormi cellulari con antenna ribassabile, la mancanza di internet che rende tutto così inspiegabilmente lontano e vago, rendendoci oggi persone sempre informate sui fatti, ma anche tanto predisposte all’insicurezza, laddove basta un blackout o una mancanza di collegamento alla rete per farci sentire come pesci fuor d’acqua costretti a boccheggiare.

Non tutto funziona (lo svezzamento del figlio di mammà Marisa Berenson da parte della sua amica Corinne Clery appare davvero pretestuoso ed inutilmente pririginoso) e molte situazioni patinate tradiscono una nemmeno tanto celata origine televisiva (ne esiste una versione estesa di tre ore per la tv) che si contraddistingue talvolta con dialoghi zoppicanti ed incerti, ma lo spaccato di un paese che si credeva ricco e furbo in fondo e stava velocemente sprofondando nella vergogna (Mani pulite, la crisi economica) appare saldamente abbozzata in un affresco spesso sopra le righe e caricaturale, ma che riesce a non farsi disprezzare mai.

 

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