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Sansone e Dalila

Regia di Nicolas Roeg vedi scheda film

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La recensione su Sansone e Dalila

di alan smithee
4 stelle

Fumettone monocorde e stoltamente attualizzato con dialoghi banali che stonano e riducono la rappresentazione storica ad un ballo in maschera affettato ed anacronistico. Prodotto televisivo ad alto budget destinato a vasta utenza e dunque deliberatamente generalista e congegnato per piacere a troppi palati.

scena

Sansone e Dalila (1996): scena

Eric Thal, Elizabeth Hurley

Sansone e Dalila (1996): Eric Thal, Elizabeth Hurley

Remake, anzi, riproposizione per la televisione del celebre film di Cecil B. Demille sulla leggenda dell'eroe dalla forza intrappolata nei capelli (che infatti non poteva mai tagliarsi, come predisse la visione angelica alla anziana madre che lo concepì in età ormai prossima alla sterilità). Nicolas Roeg accetta di dirigerne le gesta per un serial ad alto budget della serie "I racconti della Bibbia", coprodotto dalla Rai lungo tutti gli anni '90.

Gran cast internazionale di richiamo, ove i due protagonisti, (Eric Tahl e Elizabeth Hurley, belli ma un pò monocordi), soccombono dinanzi alla potenza espressiva di rivali di ben altro rango (Michael Gambon e Diana Rigg su tutti, mentre Dennis Hopper in sandaloni appare decisamente imbarazzato ed incongruo) scenografie che denotano un certo sfarzo ed un tentativo piuttosto accurato di ricostruzione degli ambienti, ma dialoghi generalisti ed assolutamente incongrui con l'epoca remota in cui è ambientata la appassionante vicenda.

scena

Sansone e Dalila (1996): scena

Le produzioni televisive cercano di rendere esemplificatorio per ogni tipo di pubblico vicende e situazioni, attualizzando la scrittura del racconto e mettendo in bocca ai protagonisti frasi assolutamente incongrue per contesto e modernità: non è una critica rivolta solo a questo abulico sceneggiatone, ma un luogo comune di molte produzioni televisive rivolte ad un pubblico vasto ed indistinto: il non riuscire a rendersi credibili, producendo in tal modo una situazione ridicola che rende la costruzione come una recita in costume posticcia e troppo elementare e semplificativa per poter risultare convincente.

meglio allora, molto meglio, i tentativi a volte estremi di registi coraggiosi ed incuranti del piacere a tutti costi, come Jean Jacques Annaud, di puntare ad un realismo esasperato che si cala sulla cultura dell'epoca riuscendo a rappresentarne più adeguatamente i tratti, senza edulcorazioni od attualizzazioni incongrue e fuorvianti che trasformano altrimenti l'opera in una banale prova in costume simile ad un carnevale od un ballo in maschera.  

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