Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Greve e cupo, il film vive di buoni dialoghi e discreta azione (insomma, poco a che fare con il Bergman più conosciuto). Carradine se la cava dignitosamente nei panni dell'impotenza e dell'incredulità umana dinanzi al delirio della follia. Non c'è la profondità consueta del Maestro, spesso si tira per le lunghe e la tensione ne risente, ma è l'ennesima dimostrazione delle sue immense potenzialità cinematografiche: Bergman fa (solo) ciò che vuole. Qui era alle prese con una profonda crisi concreta, non solo interiore, che lo portò ad una sorta di autoesilio che in tre anni produsse questo film ed i successivi Sinfonia d'autunno e Mondo di marionette (più compiutamente bergmaniani): la versatilità e la capacità - e volontà - di cambiare e sperimentare sono doti a lui innegabili. Ciononostante, questo è uno dei lavori meno precisi, meno finiti che ci abbia consegnato.
Due artisti americani nella Germania del 1923 vivono il tracollo delle istituzioni e la paura e la miseria della gente, nel mirino di uno scienziato alla Mengele. La rivoluzione, l'epoca nuova è in arrivo, la si può intravvedere come il serpente nascituro attraverso la sottile membrana dell'uovo.
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