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Straight Outta Compton

Regia di F. Gary Gray vedi scheda film

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La recensione su Straight Outta Compton

di alan smithee
7 stelle

Ice Cube, Dr. Dre, Eazy-E, Snoop Dogg: ovvero i N.W.A., ovvero il gruppo nero di rapper Niggaz Wit Attitudes. La loro è la musica che nasce dalla strada e trae la sua ispirazione e la vitalità ostentata di cui si caratterizza,  il nutrimento e forza di cui si compone, da spirali drammatiche di violenza che inghiottono inesorabilmente gli abitanti dei bassifondi delle metropoli americane, di una California dominata dalle gang di spacciatori. Costoro finiscono per divenire l'unico futuro, incerto e certamente malavitoso, fuorviante e pericoloso, per tutta una serie di ragazzi di colore di quello che è, a tutti gli effetti, un ghetto di pura sopravvivenza.

Siamo a fine 'Ottanta, ed un palmo di ragazzi iniziati al mondo delle gang, dello spaccio di droga, riesce in qualche modo ad uscirne grazie alla passione per la musica, grazie all'estro, alla creatività conferita dalla circostanza di essere testimoni di un inferno sulla terra, che permetterà loro di creare un genere, il "gansta rap statunitense", che parte dall'hip hop e si concentra sulle tematiche scottanti che caratterizzano la vita di strada.

Straight outta Compton sarà il loro leggendario album di esordio, colui che li renderà, dal nulla senza speranza di redenzione fornito dal mondo della strada, delle  star assolute e che li avvierà ad una carriera destinata a vederli separati ben presto, alcuni destinati a durare (Ice Cube su tutti, divenuto anche attore), altri a scomparire o a soccombere alle insidie della vita, quando anche la sopraggiunta ricchezza non si dimostra più una garanzia efficace per assicurare la sopravvivenza.

F. Gary Gray è un buon regista (suo il validissimo Il negoziatore, film di cassetta che ha la dignità di un cult) e dirige con carattere, ritmo e concitata destrezza, le gesta del gruppo, solidale all'inizio, unito, quasi incementato a combattere l'indifferenza e il pregiudizio che sopraggiunge soprattutto dall'alto, ma in seguito, al contrario, diviso e contrastato dalla rivalità e dall'invidia laddove il successo sopraggiunto avrebbe dovuto assicurare il quieto vivere e la sopraggiunta serenità ed indipendenza.

Qualche concessione al dolciastro di una vita di famiglia resa drammatica da perdite violente di figli e fratelli innocenti finiti freddati per strada e una presenza sin troppo paternalistica di un Paul Giamatti con parrucchino sin troppo ridicolmente posticcio e dal ruolo decisamente stereotipato del manager-padre sin troppo premuroso ed amorevole, non rovinano troppo l'atmosfera incandescente che il regista riesce a ricreare nella rappresentazione dei concerti affollatissimi, del ritmo straordinario e travolgente che diviene appassionante. "Fuck the police", cantano vigorosi e sfidanti i cinque rapper, e la polizia comincia a tremare: deve arrestarli per l'oltraggio imperdonabile, ma la folla, il branco è dalla loro parte. I cinque neri figli del ghetto sono divenuti dei trascinatori di folla, perché raccontano la vita drammatica di tutti i giorni, quella in cui la gente muore per strada anche solo in seguito ad un regolamento di conti da cui è completamente estranea.

La musica che salva la vita, che procura ricchezze ed agi, ma che spesso non redime o salva l'anima, che resta quella rancorosa e selvaggia di chi dalla vita ha subito troppe angherie e prepotenze.

Allora la musica che sembra salvare la vita, aprire le porte di un sogno che a volte dura davvero troppo poco.

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