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Il Notturno di Chopin

Regia di Aldo Lado vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il Notturno di Chopin

di alan smithee
4 stelle

locandina

Il Notturno di Chopin (2014): locandina

Il ritorno alla regia di un filmaker ottantenne - noto soprattutto per una manciata di notevoli thriller di inizio anni '70 che, insieme a quelli senz'altro più celebrati e corteggiati di Dario Argento, hanno contribuito alla nascita di un genere che ha fatto il giro del mondo, diventando in molti casi dei cult citatissimi (La corta notte delle bambole di vetro e Chi l'ha vista morire?, ma pure Sepolta viva e L'ultimo treno della notte) - è sempre una bella notizia per noi che amiamo il cinema, soprattutto se poi apparteniamo al gruppo che non si stanca mai di recuperare titoli di piccole produzioni che non riescono ad approdare al pieno circuito distributivo; prerogativa questa, favorevole a sempre meno produzioni oggettivamente interessanti ed effettivamente meritevoli, almeno per quanto riguarda il panorama italiano ed il genere thriller-giallo-horror in particolare.

Il ritorno di Lado avviene con una storia perfettamente e macabramente nelle sue corde: il rapimento di una bambina di nove anni in un parco, all'improvviso, dopo che il maniaco, e noi di conseguenza, voyeurs per nulla inconsapevoli, l'abbiamo spiata giocare a freesby con un'amichetta.

La ragazzina si risveglia in un angusto, lugubre e pure freddo scantinato dissestato, pieno di fango, di giornali accatastati, con una brandina e una tubatura gocciolante che scandisce dal quel momento un tempo interminabile per la povera rapita.

Bisogna certo ammettere e concedere che Lado cerca in tutti i modi di approfondire la psicologia della piccola sfortunata, ed il tentativo della piccola di rifugiarsi nel mondo fiabesco che inevitabilmente e per fortuna le appartiene, nel trovare ristoro nelle fantasie del sogno per debellare esigenze primarie come la fame (il sogno della torta alla panna in cui tuffarsi), il suo orgoglioso imporsi all'attenzione del rapitore rispondendo alla sonata di Chopin che la tormenta come un lugubre presagio, con una fiera e combattiva, orgogliosa Bella ciao” intonata a tutta gola, sono finezze e peculiarità che forse solo la saggezza della terza età può avere suggerito in luogo di magari gore ed effettacci a dismisura.

E poi ancora il regista si sofferma sulla gioventù che prosegue inesorabilmente il suo corso come se nulla fosse accaduto: il dentino vacillante che viene via non senza sofferenze (nulla in confronto alla mancanza della propria dorata quotidianità di bambina accudita e curata) e non sarà purtroppo ricompensato da nessuna sorpresa, quando ormai in quelle circostanze l'unica sorpresa positiva sarebbe riabbracciare i propri genitori certamente straziati.

La lacuna incolmabile del film, a mio avviso, è quella di concentrarsi esclusivamente nella figura della bambina prigioniera: scelta certamente dettata anche da questioni di budget, che ne hanno imposto una unità di luogo che può pure apparire interessante e claustrofobicamente avvincente.

Ma oltre a ciò regna il deserto: e ogni tentativo per trasformare il dramma in una sorta di thriller naufraga senza pietà: un gruppo di operai che lavorano mentre la bambina dorme e non può chiedere aiuto, un clown in macchina che pubblicizza il circo proprio in una zona completamente deserta, un funerale con un tafferuglio non ben chiarito o lasciato in sospeso non si sa per quali ragioni; e soprattutto la psicologia del rapitore, inesistente, insufficientemente caratterizzato.

Forse che l'autore intendesse mettere in luce la possibilità in cui il male si annida nell'intimo di chiunque poi appaia come una tranquilla persona qualunque; forse che Lado voglia esorcizzare personaggi sconvolgenti che non si meritano alcuna caratterizzazione che possa in qualche modo anche involontariamente premiarli di una personalità che, nel male più che nel bene, essi non hanno o non si meritano.

Un doppio finale, quello sperato, e quello reale, tragico e di cronaca, mette in luce un fenomeno drammatico che poi la regia ci esplicita e chiarisce con dato sconcertanti.

Onore al fine e al messaggio della pellicola, felicitazioni per il ritorno che ci auguriamo con seguito per un regista di culto e riferimento insostituibile del cinema di genere che ci ha reso famosi; ma certo il risultato finale del film lascia molto a desiderare, e fa venire la nostalgia del vecchio cinema, delle cineprese ingombranti ma sofisticate e professionali che ti costringevano ad utilizzare filtri e tecniche di fotografia che ora si pretende di sostituire con gli scarni disarmanti risultati che garantiscono gli apparecchi tascabili autonomi e tuttofare di oggi, responsabili solo di generare una piattezza e una disarmante povertà d'immagine che si traduce in un senso inquietante di improvvisata amatorialità.

 

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