Espandi menu
cerca
The Postman's White Nights

Regia di Andrej Konchalovskij vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Peppe Comune

Peppe Comune

Iscritto dal 25 settembre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 175
  • Post 42
  • Recensioni 1454
  • Playlist 56
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su The Postman's White Nights

di Peppe Comune
8 stelle

Nella parte settentrionale della Russia ci sono dei villaggi situati lungo le rive del lago di Kenozero. Siamo nella regione di Arcangelo e la città più vicina a questi villaggi lontani da tutto e da tutti è Plesetsk, sede di un importante cosmodromo. Ljokha (Aleksey Tryapitsyn) è il postino di questi villaggi e per tutti gli abitanti del luogo lui rappresenta il legame più forte che hanno con le istituzioni governative. Ljonkha si muove da una sponda all’altra con la sua piccola barca a motore, lui stesso abita in uno dei villaggi, dove conosce tutte le persone e per ognuna di loro cerca di essere un buon confidente. È segretamente innamorato di Irina (Irina Ermolova), una donna combattiva che vive sola col figlio Timur (Timur Bondarenko) e che non vede l’ora di trovare un buon lavoro nella più vicina città. Il postino passa spesso le notti insonni, tormentato dalle visioni di un gatto nero che gli si viene sempre o posare sul letto. La serena routine del suo lavoro cambia d’improvviso d’aspetto quando gli rubano il motore della barca. Ljonkha è disperato, nessun abitante del posto può aiutarlo e anche all’ufficio postale sembrano importarsi poco della cosa.

 

Aleksey Tryapitsyn

The Postman's White Nights (2014): Aleksey Tryapitsyn

 

“Questo film viene realizzato nella Russia settentrionale, nella zona del lago di Kenozero. I protagonisti sono persone che vivono nei villaggi vicino al lago Keno”

Con questa minima didascalia descrittiva si apre “Le notti bianche del postino” di Andrej Konchalovskij, per rimarcare il fatto che si tratta di un film che vuole assumersi il compito di documentare l’esistenza di luoghi posti ai margini più remoti del mondo “globalizzato”. Tutti i personaggi non sono dunque attori professionisti e per tutta la prima parte del film, l’impressione nitida è quella di assistere ad un documentario dal taglio dolcemente etnografico. Almeno fino al furto del motore della barca, quando la finzione cinematografica si prende per intero la scena facendo entrare in corto circuito gli ordinari rapporti relazionali tra gli abitanti del lago e la terra ferma. Soprattutto a partire da quel momento, il carattere documentaristico viene sublimato nella narrazione filmica, che inizia a dare più consistenza a delle letture più ampie ed articolate sulla Russia coeva. Se ne ricava un quadro d’insieme dal velato sapore “tarkovskijano”, tra elegia naturalistica e acute riflessioni sullo scorrere del tempo e il senso della storia.

Gli abitanti dei villaggi rimangono figli di questo mondo anche se sembrano non appartenervi più. Oscillanti tra un presente che si è dimenticati di loro e un passato che prende le forme di un tempo immobile. Della contemporaneità portano le stimmate di una condizione di marginalità sociale che va ben oltre la loro pratica volontà. Dei loro trascorsi più o meno lontani conservano l’attitudine a muoversi con lentezza e circospezione. Un microcosmo fuori dal tempo, che nel tempo e col tempo ha saputo di volta in volta rimodellare la propria identità territoriale. I suoi pochi abitanti esistono e resistono, consci che c’è un mondo al di là delle sponde del lago verso cui possono sempre fuggire, ma anche consapevoli che per l’equilibrio esistenziale di ognuno possono bastare i soliti legami socio culturali. Il loro isolazionismo ha la sostanza vitale di un qualcosa che può permettersi di rimanere per sempre immutabile, che il tempo e la storia possono intervenire su di esso senza sconvolgerne radicalmente la fisionomia. È la bellezza ancestrale della natura, con i suoi ritmi di vita e i suoi cicli periodici, a sottrarre il lago di Kenozero dai subitanei sconvolgimenti prodotti dal divenire storico.

È in questo ritratto d’ambiente che la figura di Ljonkha assume una funzione fondamentale, non solo perché lui è l’unico postino di quei villaggi, ma per il modo in cui svolge e concepisce il suo lavoro ; non tanto perché lui porta notizie dal mondo di fuori, ma perché lui di quel mondo rappresenta quasi l’unico legame riconosciuto. Il postino sembra essere consapevole di questo ruolo attribuitogli dalla particolare geografia dei luoghi, e cerca di praticarlo con tutta la serietà etica del caso. Lui stesso è un abitante del villaggio, perciò di ognuno conosce vizi ed abitudini, che cerca di assecondare per quello che può, comportandosi quasi come un confessore a cui ognuno può sentirsi libero di sfogare i propri patemi. Ljonkha è un uomo che sa ascoltare perché i problemi degli altri sono anche i suoi, perché tutti insieme si è partecipi della stessa condizione di dimenticati. E poi perché gli viene naturale svolgere il suo lavoro come se si trattasse di un compito morale da dover assolvere al meglio. La regia di Konchalovskij si attacca all’esistenza routinante di Ljonkha, catturandone il sonno faticoso, i desideri amorosi, le visioni notturne, i fantasmi del passato, l’evocazione nostalgica dei ricordi. Le sue notti brevi hanno una luce del tutto particolare, anacronistica come il mondo che respira, fatto di vecchie foto ricordo, di illustrazioni vintage appese alle pareti, di case ridotte all’essenziale, di abitudini consolidate che si ripetono sempre uguali. Un mondo popolato ancora di cose semplici, animato da rapporti umani schietti, colorato da una natura tanto bella da togliere il fiato. Perché la “nuova” Russia in quei luoghi ancora ci deve arrivare, perché le sponde del lago di Kenozero rappresentano quanto è rimasto di un paese che non c’è più. Ljonka si muove tra una sponda all’altra con la sua barca a motore, configurandosi come una sorte di "Caronte" (post)moderno che però, piuttosto che navigare attraverso i luoghi con lo scopo di farne risaltare la portata mitica, si muove per tenere legati i luoghi l’un l’altro, scongiurandone la definitiva estinzione. Per questo il furto del motore è vissuto da Ljonka come un fatto tragico, perché corrompe alla radice l’essenza stesa del suo stare al mondo (proprio come accadeva in “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica), perché il suo lavoro di postino serve allo scopo di armonizzare il rapporto di vicinanza-lontananza tra i villaggi della regione e la Russia : tra la contiguità fisica dei territori e la distanza notevole delle cose e delle persone che li abitano. Dal punto di vista figurativo, questo aspetto del film è reso molto bene attraverso una sequenza abbastanza emblematica che ritrae il postino insieme ad un amico del posto mentre parlano seduti sull’orlo di una barca. Il campo di ripresa è largo e mentre cattura la bellezza vergine del lago e del bosco circostante, sullo sfondo compare all’improvviso un missile aereo spaziale fatto partire dal Cosmodromo della vicina città di Plesetsk. La tranquillità bucolica che evoca uno scenario immutabile viene squarciata dalla velocità della tecnica che impone i suoi ritmi vorticosi ; un consorzio umano posto più o meno volontariamente fuori dalla storia si mischia con la presenza invasiva delle logiche militari che sempre pretendono di indirizzare il corso della storia. In una sola inquadratura, convivono il vecchio e il nuovo. Ma non si parlano più. Grande film per il vero ritorno a casa di Andrej Konchalovskij          

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati