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Padri e figlie

Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film

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La recensione su Padri e figlie

di alan smithee
2 stelle

A fine anni '80 Jake è uno scrittore di successo a cui la vita ha regalato talento, successo, una bella famiglia composta da moglie e figlia deliziose e biondissime.
Quando un terribile incidente frontale tra la sua auto ed un camion gli uccide la moglie, e ne lascia compromesso fisicamente e psichicamente egli stesso, costui si troverà a dover combattere per guarire nel più breve tempo possibile, in tempo per riprendersi la figlia che gli zii ricchissimi e avidi hanno adottato ed a cui non vogliono egoisticamente rinunciare, ma pure tornare al successo per ritrovare le finanze che gli consentano di assicurarsi l'affido della amata figlioletta. La quale nel frattempo, ai giorni nostri, è una bella e disinibita ventenne senza veri amici o legami sentimentali fissi, che si trascina da un rapporto sessuale all'altro, tutta intenta nel suo lavoro di assistente sociale a salvare vite e coscienze di giovani sfortunati (come lei?) che stanno trascorrendo un'infanzia tribolata. Fino a che un giovane principe azzurro fan del padre scrittore, non la farà cadere ai suoi piedi, riaprendo la porta del sentimento e dell'amore che nella sua vita era stata chiusa drammaticamente molti anni prima.


Un dramma dunque, anzi una tragedia! Una minaccia, un pasticcio lungo due ore che una sceneggiatura criminale cerca di farci digerire con l'abusato ed ormai risaputo stratagemma del via vai temporale che alterna due epoche differenti, con la speranza, assolutamente vana, di alleggerire e rendere più appetitosa una vicenda ridicola da soap opera di terz'ordine.
Russel Crowe non appariva così imbarazzato dai tempi della laccatissima vendemmia de "Una buona annata" del peggiore Scott mai visto, il resto del cast, che conta altri validissimi premi Oscar (Olivia Spencer e una Crudelia-Jane Fonda curiosamente sempre più coinvolta con registi italiani nell'ultimo periodo), ma pure altre eccellenze tutte sprecate come Diane Kruger, Bruce Greenwood, qui ai rispettivi minimi storici, fa quel che può per limitare i danni di cui Amanda Seyfried e Aaron Paul si ergono a fieri paladini e garanti.
Per Muccino, al suo quarto film americano e terzo flop (almeno dal punto di vista qualitativo) consecutivo (se si esclude il discreto sequel Baciami ancora, peraltro tutto italiano), è la caduta libera. Spiace anche un po' ammetterlo perché in fondo un autore italiano che lavora negli States è un caso piuttosto raro e quando succede e persevera come in questi casi, vuol dire che così facendo ed insistendo si porta con se pur sempre qualcosa di nostro anche nel regno della cinematografia che conta in termini di business.


Speriamo che questo pasticcio melodrammatico improponibile, tutto "patatine di papà" e "tulipani amari" stroncati (guarda un po'?) dalla critica cattiva ed ingrata, rapisca e porti in sala almeno quei creduloni e ingenuotti americani che tendenzialmente non riescono a resistere e a non sbrodolare di fronte a tragedie risibili e stomachevoli come quella che regge tutta questo brutto film, che ci fa rivalutare e guardare con nostalgia certi melodrammoni decisamente un po' forzati, ma ben più degnamente narrati, come Il campione o Amore senza fine dello Zeffirelli americano fine anni '70- primi '80.

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