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Jauja

Regia di Lisandro Alonso vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Jauja

di Odradekk
8 stelle

locandina

Jauja (2014): locandina

 

https://cinetropia.wordpress.com/

 

La memoria dell’uomo non è una somma, è un disordine di possibilità indefinite. Per vedere una cosa bisogna comprenderla… se potessimo comprendere un solo fiore sapremmo chi siamo e cos’è il mondo. Non c’è fatto, per umile che sia, che non racchiuda la storia universale e la sua infinita concatenazione di effetti e di cause.

 

Non son poi così tanti i passi che dividono il pensiero labirintico di Borges dall’ultimo film di Lisandro Alonso, tornato nel 2014 sul grande schermo (tranne che sul nostro naturalmente) con quel suo tipico tocco poetico e filosofico che da sempre rendono il suo, un cinema esistenzialista di rara bellezza. Quello di Jauja è una mera esplorazione della dimensione soggettiva e onirica dell’esistere, una favola ancestrale e presocratica sulla solitudine contemplativa fondata sullo shock emotivo paterno/familiare di cui è vittima il protagonista. Una ricerca stilistica ben riuscita sulla libertà rivelatrice del sogno: dimensione quasi mistico-religiosa di un uomo venuto ormai a patti con la propria gelosia e morbosità per la figlia, che ha sempre potuto avere al suo fianco, ma che non ha mai realmente compreso, scomparsa quindi (per ricollegarci a Borges) nel nulla cosmico delle sue reazioni emotive.

 

padre e figlia Jauja

 

Alonso catalizza sulla pellicola questa sua disperazione e cieca rabbia, sentimenti che sembrano essere strettamente collegati alle modalità stesse della visione filmica che a sua volta si traduce in immagini di antichità, di ricordi rivisitati da questa passione straripante e insofferenza per la perdita ingrata, quindi mai dimenticati, ma ancora vividi nella mente dell’ufficiale e padre danese. Antichità che lo stesso Alonso sottolinea nelle inquadrature incorniciate in 4:3 come a richiamare in causa vecchie istantanee rarefatte, ma attraverso una serie di pennellate di forme cromatiche tutt’altro che nostalgiche, primitive e inconsistenti, bensì pop ed estremamente nitide, molto lontane quindi da quelle del tipico e malinconico offuscamento dell’oblio.

 

scena

Jauja (2014): scena

 

Ma del resto è anche vero che ogni esperienza estrema richiede paesaggi estremi e avvalendosi del gusto estetico e del genio creativo di Timo Salaminen, Alonso è riuscito a creare un risultato paesaggistico dalle fertili espressioni che va oltre lo spazio/tempo, dando ad esso una visibilità nuova e a tratti utopica. Lo storico collaboratore di Kaurismaki da vita infatti a un reale che lentamente si ritrae per lasciare spazio a un surreale paese di Cuccagna che ha ben poco a che vedere con la Jauja della fertile Patagonia (dove il film è stato realmente girato). Piuttosto la sua sembra più avvicinarsi a come, quella terra di abbondanza e fertilità, se l’era immaginata Brueghel nel lontano Cinquecento.

 

Pieter_Bruegel
 

Si potrebbe quindi quasi azzardare a dire che Jauja non sia un film, ma una mostra. Una mostra di immaginifici quadretti in 4:3, un collage spettacolare di pittura statica ad angoli curvi e in movimento quasi impercettibile, che oltrepassa con la sua bellezza variopinta quelli che sono i confini storici e geografici per sconfinare nell’aldilà di un labirintico caos atemporale che, come unico obiettivo, sembra avere quello di ribaltare qualsiasi certezza di umanità risolta, riconsiderando senza nemmeno tanti panegirici, ma in modo soave e quasi naturale, spontaneo, la linearità di una narrazione che se a prima vista conduce lo spettatore verso una storia narrativamente strutturata, in verità lo accompagna verso il vuoto apparente di una ricerca ricca di significato. Jauja non è altro che questo: calma, lenta riflessione esistenzialista. Il regista argentino ammorbidisce i nostri sensi allentando i ritmi e allungando il tempo delle percezioni: il risultato è un dolce cullare nell’abbraccio di un torpore dei sensi mai annoiante, bensì lento, cadenzato, a tratti quasi eccitante nella sua naturalezza e apparente ingenuità.

 

Il caldo abbraccio-Jauja Alonso

 

In Jauja tutto acquista un senso altro, all’abbraccio tra i due amanti non servono traduzioni di parole, i due non si capiscono (lei danese, lui argentino) ma i sensi trasportano incalzando una visione alternativa che lascia condurre lo spettatore verso la creazione per assurdo del sogno o l’immergersi nell’universo di una ricerca cosciente che diviene lentamente torpore incosciente, verità insensata finalmente accetta. Sonno di una lucidità ormai sorpassata, morte poetica delle emozioni. Se infatti nel tempo della narrazione non sembra capitare alcunché di particolare, distacco padre e figlia a parte, gli scatti sono montati per dare risalto al fascino dei corpi immersi in paesaggi di rara perfezione nella loro utopica realtà. Paesaggi che sembrano nascondere verità altre e creati appositamente nella mente immaginifica di quell’uomo che lentamente perde ogni parvenza di umanità.

Deve scusarmi ma di solito parlo solo con il mio cane, non sono avvezza a farlo con gli uomini…E’ lei un uomo?

Decostruzione della civiltà che raggiunge in questa scena del film la sua più alta espressione verbale. Proprio quando Gunner perde di vista sua figlia, (che nel frattempo ha deciso di scappare dalle solidali, ma strette braccia paterne, per rintanare la sua femminilità al servizio di un ragazzo comune) si innesca infatti uno stato lancinante di meditazione fulminea che avanza verso la meditazione più cosciente.

 

jauja-2014-lisandro-alonso-03-932x689

 

Come da sempre, Alonso riprende tutto da lontano: le immagini inghiottono lo spettatore e la natura selvaggia fa da padrone, non serve alcuna spiegazione. D’altra parte, il regista argentino ha sempre voluto mantenere una certa distanza dai suoi personaggi, praticamente impossibile identificarsi con loro, nonostante ci si impegni nel vano tentativo di giudicare da una lontana e distaccata prospettiva i loro sguardi e movimenti. Ma non è come già stato detto, tanto il cuore o la trama che lo spettatore è chiamato a comprendere, piuttosto la psiche scivolosa dello stesso regista che rimanda alle sue proprie considerazioni filosofiche e per lo più ad una semplice contemplazione sul fluire dell’essere più profondo e degli eventi interiori ad esso collegati. Come in Tarkovskij le domande non cercano una risposta. E in questa sua personalissima decostruzione narrativa e al contempo umana, Alonso si è appoggiato alla vena artistica del poeta Fabiàn Casas che ha collaborato con lui alla sceneggiatura e alla composizione musicale (insieme allo stesso Mortensen…sì).

 

Jauja-Viggo Mortensen

 

Gunnar è presto perso in un deserto borgesiano che racchiude dentro di sè un’infinità universale labirintica priva di pareti. Come nel libro di sabbia di Borges anche Jauja perde qualsiasi chiave narrativa verso la fine del film, restituendoci una finzione cinematografica che lascia piena libertà allo spettatore di scegliere da quale fotogramma iniziare la propria visione. Molte scene sembrano infatti come essere già state girate, quasi fossero riprese interrotte o variazioni di un eterno ritorno. Un cinema quello di Alonso che impedisce qualsiasi interpretazione chiusa, un film incorniciato (anche nelle inquadrature che racchiudono le scene dando quel tocco di riflessione psicologica interiore) da un orizzonte mitico senza tempo. Disperso infatti nel deserto della Patagonia dopo aver percorso il labirinto della sua coscienza Gunner incontra una donna, figura piuttosto felliniana-Fellini/sogno, che da sempre trascorre la sua intera esistenza in una grotta insieme al suo cane. L’incontro con la sua psiche irrisolta raggiunge il punto più alto della poetica filosofica di Alonso. La donna infatti altri non è che sua figlia cresciuta, invecchiata che gli riconsegna la sua amata e perduta bussola e gli chiede di sua madre. Avrebbe sempre voluto sapere…

 

jauja-scena figlia invecchiata-donna cane-fellini

 

Per concludere direi che la massima introversione e l’investigazione cinematografica autobiografica fino alle più recondite profondità della coscienza dove il tempo e le sue tracce svaniscono alla linea dell’orizzonte in questa trasognata riflessione sul “degrado” dei legami familiari, rendono questo uno dei più bei film di Alonso e uno dei più riusciti tentativi filosofici e psicologici degli ultimi anni. Tutto in Jauja rinvia simbolicamente ai limiti della ragione di fronte agli sconvolgenti ribaltamenti emotivi a cui costantemente sia da figli che da genitori siamo soggetti.

Le famiglie scompaiono prima o poi, vengono ingoiate dal deserto…e credo sia meglio così…

La solitudine…la perdizione. Non sarà di certo una bussola a salvarci, anche se una speranza pur sempre resta…

Chi ha scorto l’universo, non può pensare a un uomo, alle sue meschine gioie o sventure, anche se quell’uomo è lui. Quell’uomo è stato lui e ora non gl’importa più. Non gl’importa più la sorte di quell’altro, non gl’importa la sua azione, poiché egli ora è nessuno. Non c’è luogo in cui non sia presente.

 

 

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