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There Are Things You Don't Know

Regia di Fardin Saheb-Zamani vedi scheda film

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La recensione su There Are Things You Don't Know

di OGM
8 stelle

Teheran, di notte, è una città strana. È popolata da una umanità smarrita, che a bordo del taxi di Ali sembra cercare un temporaneo rifugio, la possibilità di sfogarsi, di sospendere per un attimo gli incomprensibili affanni del giorno. Ali è un uomo solo. Il suo appartamento è vuoto, i suoi unici contatti sono la padrona di casa, con la quale scambia poche parole, di sfuggita, dal corridoio, attraverso la porta, ed un gattino randagio, che ogni tanto viene nel suo giardino a bere dalla ciotola del latte. Il mondo lo chiama solo quando è al volante della sua auto,  dove lo raggiunge il suono di un coro lamentoso, che interpreta il proprio dolore con l’anonima cadenza di chi parla del più e del meno. Dopo il tramonto,  ad animarsi sono gli esseri ombrosi ed inquieti, che vivono schiacciati da una tensione opprimente, misteriosa ed irrimediabile. Quelle figure, inquadrate nella ristretta cornice dell’abitacolo, sembrano animali striscianti per il troppo peso di cui sono gravati, che raspano nel fondo, alla ricerca di un senso perduto. I notiziari hanno preannunciato un grande terremoto, e la gente lo sta aspettando con trepidazione. Ma quell’ansia collettiva si frange, sotto la superficie, in una miriade di angosce individuali, in cui si colgono gli echi della malattia, della follia, della disperazione, di un desiderio di fuggire frustrato dal non sapere dove andare. Nell’Iran di oggi, l’incubo esistenziale è una vibrazione sepolta sotto il manto di una oscura magia: è il potere invisibile di una legge che prescrive un ordine dettato dalla tradizione, il quale, però, è percorso dai rivoli di una rivolta serpeggiante. Le sommesse sfaccettature della ribellione seguono gli impulsi della libertà dei sentimenti e della curiosità culturale, e riguardano i rapporti tra uomo e donna, come anche i gusti musicali e cinematografici. Il severo codice della strada, con cui Ali deve fare i conti,  a dispetto delle richieste dei suoi clienti, è il costante promemoria dell’esistenza di un regime autoritario, che determina i tragitti, i punti in cui sostare, la disposizione delle persone a bordo dei veicoli. I percorsi sono obbligati, e prestabiliti sono anche i compagni di viaggio. Ali, con Leila, la passeggera regolare che gli è stata assegnata dalla centrale, vorrebbe spingersi oltre. Ciò che lo blocca è in parte un divieto esterno, in parte un freno interiore. Il culto politico-religioso dell’immutabilità e dell’attaccamento al passato lo ha immobilizzato nell’abitudine, nella rassegnazione. Poco importa se, intorno a lui, il mondo sta combattendo per cambiare e correre incontro al domani. Mentre Ali rievoca i ricordi di gioventù, il vecchio Denis decide di rimettere a nuovo la sua caffetteria, donne estranee gli danno confidenza, i ragazzi discutono di film americani visti su dvd pirata. Ali, invece, sta fermo e permane nel suo indifferente mutismo. E dire che basterebbe così poco per uscire dal guscio e fare il primo passo. Sarebbe sufficiente abbandonare quella rigidità che fa da duro involucro alle sue inutili, inveterate certezze. La finestra dell’anima si può aprire, per fare entrare lo zefiro del dubbio, ed ascoltare il suo bisbiglio, ci sono cose che non sai.

 

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