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1001 grammi

Regia di Bent Hamer vedi scheda film

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La recensione su 1001 grammi

di OGM
7 stelle

Non è il peso dell’anima. È il peso di ciò che rimane, dopo che la vita ha esaurito le sue convenzioni, e si è lasciata andare. Si è smarrita, forse è andata in pezzi, ed allora ha ricominciato a vederci chiaro. Le misure non ci appartengono, se non dopo che siamo morti. Prima di ciò, regna il caos, a cui nessuna costante universale potrà mai porre rimedio. L’unità è un concetto di cui l’umanità si fa beffe. A dispetto dell’intransigenza del Bureau International des Poids et Mesures, e di quel cilindretto metallico chiuso in cassaforte che, da più di cento anni, vuole rappresentare il modello unico del chilogrammo. Un campione che dovrebbe mettere tutti d’accordo, e al quale le nazioni aderenti alla Convenzione del Metro si impegnano a restare fedeli, sottoponendo regolarmente i loro prototipi alla necessaria revisione. Tocca alla giovane Marie trasportare quello del suo Paese, la Norvegia, all’istituto francese doveva verrà controllato, ed eventualmente ricalibrato. Una volta questo era il compito di suo padre, che però ora si è ammalato, e forse sta morendo. E poi il vecchio Ernst non c’è più con la testa, ha ripreso a bere, e conduce una vita solitaria, in mezzo alla campagna, nella fattoria di famiglia.  D’altra parte quell’uomo ormai non capisce più il mondo, che sta cercando di accantonare le bilance per sostituirle con conteggi atomici, con criteri elettromagnetici. Con il progetto Avogadro e con la bilancia di Watt. La scienza si sta staccando dalla terra, dalla materia, ha smesso di pensare alle cose concrete, quelle che si possono toccare e che, all’occorrenza, sanno fare davvero male. Come la noia. Come il tradimento e l’abbandono. Come tutte quelle assenze che diventano macigni, che realizzano un vuoto che schiaccia, in cui la scomparsa di oggetti e persone è un carico che si aggrava sempre di più. L’amore finito è grosso ed ingombrante come un tavolo che se ne va, legato al tetto di un’automobile. Una mente cancellata dalla malattia di Alzheimer è una zavorra che alimenta la voglia di volare. La leggerezza si impara cercando la libertà: quella che magari nasce per caso da una privazione subita, da una fuga imposta dalle circostanze, ma che poi si tramuta in una scelta gioiosa, tale da abbracciare il nulla con la vertigine della passione. Ecco sbucare, dal cielo, il pericoloso funambolismo di un artista, che, dopo aver perso tutto, dipinge stando appeso a un filo. E intanto sboccia, sul prato, la follia del fisico che molla gli studi per dedicarsi ai fiori e al canto degli uccelli, alle bellezze fragili che non si riescono a dominare, né a comprendere. Nei ritmi della loro poetica irragionevolezza, i numeri seguono le spregiudicate logiche del gioco; solo perdendo la loro serietà, i parametri aritmetici riescono a descrivere la vita, accompagnandone il percorso fantasioso e irregolare, imprevedibile ed immemore delle leggi della storia. Nello scenario di un mondo dalle forme sobrie e squadrate, Bent Hamer identifica il declino con il rigore fine a se stesso, che si ripete pedestremente fino a quando non trova il modo di sfumare oniricamente nell’utopia, nella proiezione surreale della sua smania di perfezione. La sua levità coincide con l’inconsistenza dell’assurdo. Non ha nulla a che vedere con la delicata avventatezza di chi decide di non rispettare le regole, di non seguire punti di riferimento,  semplicemente perché non ha più nessuna paura di sbagliare.

 

 

1001 Grams ha rappresentato la Norvegia agli Academy Awards 2015. 

 

Laurent Stocker

1001 Grams (2014): Laurent Stocker

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