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Tonnerre

Regia di Guillaume Brac vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tonnerre

di laulilla
8 stelle

Vicino ai quarant'anni e in piena crisi d'identità, Maxime ritorna a Tonnerre, sua terra d’origine, dove ancora risiede suo padre, sul passato del quale egli aveva addensato ombrosi sospetti, e sul quale avrebbe riversato le proprie tensioni irrisolte.

 

 

Tonnerre è parola francese che significa tuono. E’ anche il nome di una cittadina della Borgogna, abbastanza simile a tante altre della provincia francese, un po’ sonnolenta ma non priva di attrattive per i turisti.

È nota, infatti, per la presenza di importanti cantine di Chablis, nonché per aver conservato qualche traccia di un passato ipogeico, di cui restano sbiaditi affreschi, al fondo delle nicchie fra antichi e bui colonnati, è nota anche per un curioso lavatoio-sorgente e, soprattutto, per l’origine del suo nome che viene fatto risalire addirittura a Zeus, dio dei tuoni e dei fulmini, che ne nobilita la storia.

E’ lo scenario giusto, allora, per un colpo di fulmine, ovvero per il racconto dell’ amour fou fra i due protagonisti del film: un alquanto depresso cantante rock, ora a corto di contratti, che si chiama Maxime (il bravissimo Vincent Macaigne), uomo che si avvia alla quarantina e che in passato aveva goduto di una certa fama e una giovanissima - ha solo 18 anni - insicura aspirante giornalista di nome Mélodie (Solène Rigot, molto bella e altrettanto brava).

 

L’intervista per un giornale locale è la prima occasione del loro incontro. L’attrazione reciproca è così forte da saltare agli occhi persino di chi li incontra per caso: nonostante la notevole differenza d’età i due si piacciono e si rivedranno ancora; presto arriverà per entrambi il momento in cui le proprie reciproche frustrazioni e insicurezze troveranno un ascolto partecipe, poi inizierà la storia del loro amore appassionato, finché, sulla loro strada, si metterà di traverso Ivan (Jonas Bloquet), bel giovanotto, calciatore della squadra locale, vanitoso e ammirato, con una brillante carriera davanti a sé: con lui Mélodie aveva vissuto una storia di cinque anni, quasi un’eternità per una ragazza così giovane.

Egli non solo non si era rassegnato all’abbandono di lei, ma stava diventando minaccioso e persecutorio nei confronti di Maxime, cosicché la coppia, ora, era quasi costretta a incontrarsi in luoghi sempre più lontani dalla cittadina e dalla vista del rivale, nelle nebbie dell’umido e nevoso inverno delle colline borgognone: un po’ come dire che i due vivevano i momenti del loro amore in luoghi sempre più lontani dalla realtà, dove, inevitabilmente, il loro rapporto funzionava benissimo senza incontrare problemi.

 

L’impatto ineludibile con la vita reale, però, avrebbe trasformato, nella seconda parte del film, l’atmosfera idilliaca del film in un drammatico thriller, che si si sarebbe sciolto con il ritorno dell’arioso paesaggio primaverile della Borgogna, simbolico del ritorno alla vita di Maxime, nonché del suo ritrovare il padre (Bernard Menez) e il senso della propria esistenza.

 

Nell'opera assistiamo perciò al succedersi di numerosi momenti narrativi, accuratamente preparati dal talentuoso regista che introduce gradualmente gli elementi giusti per ispirare attese inquiete o speranze positive, in modo così garbato e naturale da rendere le nuove situazioni del tutto accettabili, anche e soprattutto sotto il profilo stilistico ed espressivo.

 

 

 

 

Guillaume Brac è il nome di questo regista, qui al suo primo lungometraggio, che ha presentato con un certo successo questo suo lavoro al Festival di Locarno e che poi lo ha modificato, in seguito ad alcuni rilievi della critica, rimettendone in discussione il montaggio, ricollocando alcune scene e anche riducendone il numero, fino a raggiungere il risultato convincente che ho potuto vedere in occasione di una “Settimana del Cinema Francese”, rassegna collegata al TFF.

 



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