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Il passo del diavolo

Regia di Renny Harlin vedi scheda film

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La recensione su Il passo del diavolo

di lino99
7 stelle

Mix orrorifico di realtà e finzione

Un altro ottimo esempio di come mischiare la realtà con la finzione, realizzando una pellicola che fa paura proprio per la sua (limitata) verosimiglianza: questa volta ci prova Renny Harlin, un regista eterogeneo che ha firmato da una parte action come "Die Hard 2" e "Cliffhanger", dalla'altra horror come "Nightmare 4" e "L'esorcista- La genesi", e che attraverso il consolidato genere del falso documentario affronta un misterioso fatto di cronaca del 2 febbraio del '59, la cui notte riservò la dipartita sui Monti Urali di un gruppo di escursionisti universitari capeggiati da Ivan Djatlov (col cui cognome è conosciuto il passo, trovati in seguito in condizioni critiche all'interno del corpo, tra fratture e assenza di organi, e ghiacciati, ma senza lividi o segni di colluttazione. Il loro strano comportamento ha dato il via a varie teorie, razionali e non, degli scienziati e degli esperti, dato che sembrarono spinti da "un'irresistibile forza sconosciuta", avendo rotto dall'interno le tende e corso a piedi scalzi a 30 gradi sotto zero. Nel 2012 un altro gruppo di giovani, costituito da tecnici e scalatori professionisti, si recano al luogo del tragico evento con l'intenzione di girare un documentario nella speranza di poter riscostruire la verità, smentendo o i razionalisti, o i cospirazionisti, che non esitano a tirare in ballo alieni e segreti militari. Purtroppo per loro, la storia si ripete...Uno dei pregi di questo horror, oltre far conoscere questo avvenimento realmente accaduto, è il sapiente modo in cui è stato sfruttato il mockumentary, dando spazio per la gioia degli spettatori meno abituati a vorticosi movimenti di macchina a numerose inquadrature statiche del paesaggio innevato, impreziosite dalla fotografia di Alarkon-Ramires, alternate a interviste e primi piani girate con una macchina non professionale, nonché al tumulto delle sequenze finali, piuttosto movimentate e tipico esempio di cosa succede quando si guarda una pellicola del genere in soggettiva. La sceneggiatura di Vikram Weet da una parte è infarcita dei dialoghi scontati e stereotipati dei protagonisti (un pò stupidini), anche se un paio di battutine che smorzano la tensione gli rendono simpatici, dall'altra divide il film in due: la prima oretta è dedicata all'illustrazione dei fatti del '59 e ai primi (giustificati) sospetti, dal boato al malfunzionamento di bussole e strumenti vari, mentre i restanti 40 minuti sono puramente horror, in cui non mancano i mostri e soprattutto la claustrofobia, ma anche un risvolto di trama finale molto fantasioso e originale, e riescono a regalare attimi di pura ansia e terrore: in particolare rimane impressa la scena finale aperta, quasi onirica e capace di entare nei nostri incubi. Il vero punto di forza è l'attesa, l'aspettativa di chi prende visione, cosciente del fatto che da un momento all'altro accadrà qualcosa che potrebbe turbarlo e potebbe lasciarlo spaventato e a bocca aperta, e in questo verrà esaudito alla grande. Comunque la teoria più papabile è quella di Donnie Eichar, che spiega le allucinazioni e il panico del primo gruppo attraverso mini-tornado assordanti e ultrasuoni provocati da una tempesta perfetta. Tuttavia l'alone di mistero non è ancora del tutto colmato. Un gioiellino dell'orrore indipendente da recuperare, distribuito dalla sempreverde Midnight Factory.

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