Regia di Carlo Ludovico Bragaglia vedi scheda film
Il barone Antonio Peletti (Totò) è un taccagno senza scrupoli: per risparmiare imbroglia il prossimo e addirittura ripudia il figlio. In eredità ha ricevuto una cassetta misteriosa che in realtà spetterebbe per metà al figlio e per l’altra metà al Comune, che intenderebbe farci una scuola elementare. In contemporanea la furba e ammaliatrice Marion (Silvana Pampanini) farebbe carte false per arricchirsi. Dopo che il Sindaco e i paesani tirano un pesante scherzo al barone, la “chanteuse” cerca di approfittare con l’aiuto di un ignaro colonnello francese (l’immancabile Mario Castellani). Il lieto fine è assicurato.
Da un’idea di Ettore Petrolini, sceneggiata da Age e Scarpelli da una parte e Metz e Marchesi, nasce questo “47, morto che parla”, firmato da Bragaglia, il primo grande regista con cui Totò ha mosso i primi passi al cinema. Il film è interessante, vive di spunti intelligenti e vede Totò affermarsi come attore “impegnato”, al di là del ruolo “macchiettistico” in cui si era abituati a vederlo.
Il film, contrariamente a quanto sembrerebbe, non è comico. Si ride decisamente poco; più che altro si riflette sull’inettitudine umana, sui vizi capitali che affliggono l’uomo, sulla venalità come fattore deviante. È più vicino all’”Avaro”, di Moliere, che ad una delle classiche commedie che renderanno famoso il duo Age-Scarpelli. La durezza del personaggio di Totò, alcune sue battute, la malinconia del personaggio interpretato da Croccolo sono fattori che consentono a questo film di rimanere impresso. Anche se il fattore maggiormente caratterizzante sono la bravura della Pampanini e soprattutto i dialoghi, ricercatissimi e particolarmente calzanti: di un’altra epoca (nel senso migliore del termine).
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