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Still Life

Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Still Life

di Decks
10 stelle

"Quando si muore, si muore soli" scriveva Cesare Pavese, che non avrebbe avuto difficoltà nell'immaginare John May in un suo romanzo, tanto è denso di significato il secondo film di Uberto Pasolini; un'opera importante in cui si respira vero cinema dall'inizio alla fine.

 

Non tanto la morte, che aleggia perennemente nel film, è il tema portante, quanto la solitudine: un sentimento che il regista sembra conoscere bene, vista la fisicità e la caratterizzazione del suo personaggio: un cupo e silenzioso funzionario comunale, che a prima vista, con i suoi occhi stretti e gelidi, il naso adunco, pare un avvoltoio pronto ad avventarsi sull'ennesima carcassa, ma John è tutt'altro che un rapace: egli è un uomo sensibile e diligente, uno degli ultimi rimasti che svolge con calma e bene il suo lavoro, occupandosi dei morti come fossero suoi amici, incorniciandoli e comprendendoli come un padre attraverso pochi elementi.

La mesta e tombale aria che si respira nel lungometraggio insinua fin da subito che John May sia la natura morta del titolo, come di lì a poco capiremo: vivendo in una funerea vita di archiviazioni e sepolture, assistendo alle bruttezze del mondo, già morto per la società, visto come un ramo secco da tagliare a favore del guadagno e della celerità, John May è un estraneo in un mondo capitalista, dove non c'è tempo per pietà o celebrazioni. Ma il depresso John combatte una battaglia personale nel suo ultimo caso, credendo fiducioso nell'umanità e nella bontà, facendo di tutto per un uomo che in vita non aveva fatto granchè. Alla fine vincerà: elevando lo spirito, riacquistando voglia di vivere, letteralmente "travolto" dalla felicità.

Spegnendosi in un sorriso, John non ottiene uno smacco, ma si eleva ad angelo, ottenendo il primo vero risultato, quello di non essere mai più solo.

 

Pura poesia, questa trama che narra di una battaglia interiore ed esteriore col mondo intero. Grazie ad un interprete perfetto nel ruolo del protagonista, Eddie Marsan, infatti, con la sua compostezza e le sue tenere espressioni conquista l'intero pubblico, rendendoci anche partecipi nel profondo di quegli ultimi 5 minuti di gioia.

Il film secondo di Pasolini è rigoroso e sensibile sia nell'immagine che nel senso, dimostrando una elevata maturità del regista, che firma anche delle sceneggiature colme di realismo.

Con precisione e lentezza, Pasolini muove la cinepresa in maniera arguta e professionale, utilizzando la stessa dimensione iconica di Ozu e la fissità del cinema orientale. Nonostante la staticità non perde mai di ritmo, ammaliando lo spettatore in sequenze pregne di contenuto.

Anche la compositrice britannica Rachel Portman non delude nel sonoro: musiche leggere, appena accennate, ma mai secondarie, accompagnano con sentimentalismo e commozione le vicende del protagonista.

La perfezione è però raggiunta dalla fotografia di Stefano Falivene: i colori funerei e il pallore del protagonista servono solo a marcare ancor più l'atmosfera della pellicola; qualsiasi sequenza sembra un quadro, da cui si può comprendere semplicemente dai chiari-scuri cosa prova John May, dove l'unica presenza di colori saturi e accesi è data durante il breve pensiero sotto un albero, disteso in mezzo all'erba avvolto dalla natura e lontano dal repellente mondo in cui viviamo.

 

Pasolini dà vita ad un vero capolavoro, mostrandoci questo dolce e celestiale Caronte traghettare con misericordia le anime verso l'altra riva, bloccato tra il nostro mondo e l'aldilà in un limbo di solitudine.

Attraverso la poetica e armonica idea del regista italiano i nostri sentimenti più belli saranno resuscitati, l'umanità trionfa e John May dimostra che il sonno della morte possa essere meno duro di quanto ci si aspetti.

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