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Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles

Regia di Chantal Akerman vedi scheda film

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La recensione su Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles

di marcopolo30
6 stelle

Film cult (di nicchia) a cui praticamente ogni critico di professione (e non) assegna 10 e lode. In realtà, sebbene sia un'opera a modo suo molto originale, siamo ben lungi dal capolavoro, con 200 interminabili minuti volti a dimostrare in maniera davvero forzatissima la tesi scelta a priori. VOTO: 5½

Considerato un monumento (al femminismo) prima ancora che un'opera cinematografica, “Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles” è uno di quei titoli per i quali i critici cinematografici (e di professione e della domenica) non lesinano incenso, giustificando poi tali sviolinate nei più svariati (e immaginifici) modi. Erano anni che ne sentivo parlare e sono ora finalmente riuscito a vedere questo film culto. Ora, a modesto avviso di chi scrive, siamo qui ben lungi dal capolavoro. Sotto tutti i punti di vista. E il fatto che a dirigere i lavori sia stata una donna di soli 25 anni di età (Chantal Akerman, scomparsa nel 2015) non dovrebbe influire sul giudizio. Né in una direzione né nell'altra. La tesi che l'autrice porta avanti nel suo film è chiara, cristallina, diafana: il vero orrore risiede nella noia della “normalità” domestica. Bene. Il problema è però che i 200 lunghissimi minuti di cui si compone la pellicola sono un susseguirsi di situazioni forzatissime al solo scopo di dimostrare la tesi (pre)scelta. Faccio qualche esempio: Il figlio che si siede a tavola e continua bellamente a leggere il suo romanzo anziché parlare con sua madre. Non direi un comportamento così comune, non a quei tempi quanto meno, oggi stare a tavola con lo smartphone al lato del piatto sembra diventato la norma. Riduzione temporale inesistente, 1 a 1 senza “sconti”: se la protagonista è in cucina che mette le pietanze nei piatti te la mostro finché non avrà finito, tempo reale; se fa il bagno idem, tempo reale; se ciula con un cliente... bè no, in quel caso si “riassume” (a meno che non fossero tutti clienti affetti da gravissime forme di eiaculazione precoce). Oppure vedasi la lettura della missiva dalla zia dal Canada, letta in maniera totalmente monocorde. Perché? Certo si dirà, ma è proprio così che si portano avanti le tesi in filosofia, no? Già ma questo è un film non un saggio filosofico. O tornando al figlio: questi le dice che se lui fosse una donna non sarebbe in grado di andare a letto con un uomo del quale non fosse innamorata, bè dai... qui si forza la realtà oltre il lecito. Voglio dire, ok la frase serve benissimo il proposito dell'autrice, ma mi chiedo: seppure un uomo la pensasse così, andrebbe mai a dirlo a sua madre? La (micro)conversazione che hanno poi il secondo giorno è ancor più surrele, su: chi è che va a dire cose del genere a sua madre?. Oppure, giorno due, le viene portato un bebé a cui badare ma lei non ha il minimo sussulto di gioia, eppure una vita triste (e quella della protagonista sembra essere la quintessenza della tristezza) dovrebbe ricevere da tal visita un seppur minimo, momentaneo, bagliore di allegria. Niente, lei poggia la culla con infante in sala e torna a in cucina a impanare fettine di vitello, perché così la giustapposizione è forte e chiara e viene a fagiuolo al punto che la regista vuol fare (a tutti i costi). Anzi, scena seguente, torna in sala gli da un'occhiata fugace e se ne torna in cucina a prendere un caffé. Rimarcata poi fino alla nausea la ripetitività dei gesti, anche e soprattutto quelli più banali tipo accendere e spegnere la luce ogni volta che entra o esce da una stanza. E non è peraltro chiaro perché a nessuna ora entri luce naturale nella casa. Cos'é, vivono in un bunker atomico? Eppure quando esce di casa è chiaramente giorno. Faccio riferimento ad esempio alla scena in cui brucia le patate ed è costretta ad uscire in fretta e furia per comprarne altre, perché il film è in pratica girato tutto in interni. Certo è questa un'opera “originale” figlia di un'epoca in cui uscire dai canoni prestabiliti era ancora possibile. Ed è senz'altro un'opera che merita una visione. Ma da qui a definirlo capolavoro...

 

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